Le ultime due settimane sono state caratterizzate da importanti decisioni di politica monetaria da parte di tutte le più importanti banche centrali del mondo.
Quest’articolo si prefigge di farne un recap, partendo dalla Federal Reserve, che ha interrotto la lunga serie di aumenti dei tassi durata ben 15 mesi, passando per la Banca Centrale Europea e Bank of England, le quali, hanno deciso di proseguire nella lotta all’inflazione, Bank of Japan che, nonostante il cambio al vertice, continua a mantenere una posizione attendista, e People’s Bank of China, la quale, al contrario, prova a dare slancio ad una ripresa che tarda ad arrivare, iniettando nuova moneta nella sua economia.
Infine, parlerò del nuovo corso della Banca Centrale turca, sicuramente marginale nello scacchiere internazionale, ma le cui politiche non ortodosse, imposte dal Presidente Recep Tayyip Erdogan, hanno più volte attirato la mia attenzione.
Fatta questa premessa, cominciamo subito.
Fed, è il momento delle riflessioni.
Come detto in apertura, nel corso dell’ultimo meeting della Fed, tenutosi lo scorso 14 giugno, Jerome Powell ha comunicato la decisione del board, peraltro unanime, di lasciare, per la prima volta in 15 mesi, il costo del denaro inalterato, all’intervallo 5%-5.25%. A tal proposito ricordiamo che la Fed, a differenza della ECB, non utilizza un valore puntuale, bensì un intervallo.
Stando alle nuove previsioni trimestrali (guarda il grafico), che vedono i tassi salire fino al 5.5%-5.75% entro la fine dell’anno, dunque altri due aumenti di un quarto di punto o uno soltanto, meno probabile, di mezzo punto, – il precedente dato indicava una media del 5.1% – più che un primo tentativo di cambio di rotta, dovrebbe trattarsi di una semplice pausa, in attesa di valutare meglio gli effetti di quanto prodotto finora. Del resto, si sa, le decisioni di politiche monetaria soffrono di un gap nell’ordine dei sei mesi.

Infine, qualche dato sull’economia americana, utile per comprendere dove siamo.
Il mercato del lavoro rimane solido (+339.000 assunti a maggio), nonostante i segnali di rallentamento dell’economia, mentre il tasso di inflazione continua ad essere ad un livello più che doppio del target, al 4.4%.
Ad oggi, Powell ritiene che per un primo taglio dei tassi servirà attendere “un paio d’anni”, ossia quando l’inflazione scenderà in modo significativo, ma, si sa, questo genere di dichiarazioni ormai lasciano il tempo che trovano, come detto in numerose altre occasioni, si naviga a vista.
Banca Centrale Europea, ci siamo quasi.
Il giorno successivo, il 15 giugno, è stata la volta della Banca Centrale Europea, in cui Christine Lagarde ha comunicato la decisione, ampiamente prevista, di inasprire ulteriormente la politica monetaria dell’Eurozona di un quarto di punto.
Il livello dei tassi giunge così al 3.5%, il livello più alto da oltre due decenni.
Non solo, Lagarde ha anche definito come “molto probabile” un ulteriore aumento nel corso della prossima riunione, prevista in luglio.
A motivare tale decisione c’è un tasso di inflazione che, secondo le ultime stime, parrebbe convergere verso il target del 2% più lentamente di quanto inizialmente auspicato (2.2% solo nel 2025).
Confermata poi l’interruzione dei reinvestimenti nell’ambito del programma APP (Asset Purchase Programme), lanciato a sostegno dell’economie dell’Eurozona durante la pandemia.
Inutile aggiungere che, anche per quanto riguarda l’Area euro, in questa fase è complicato lanciarsi in previsioni di ampio respiro: la sensazione è che da qui a qualche mese anche la BCE si concederà una pausa per meglio valutare quanto prodotto finora.
Infine, per completezza di analisi, non possono essere ignorate le discussioni in corso sulla revisione del Patto di Stabilità, messo in soffitta nel periodo Covid ma ora prepotentemente tornato in agenda, e che vedono per la prima volta su posizioni opposte Francia e Germania, con quest’ultima decisa a conservare le vecchie regole di bilancio risalenti al Trattato di Maastricht del 1992. Su questo fronte Parigi potrebbe costruire un asse interessante con Roma.
Ad ogni modo, sarà una trattativa lunga e laboriosa, giocata su più piani, a cominciare dal MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), con l’Italia unico Paese a non averlo ancora ratificato, e la normativa sugli aiuti di Stato, anch’essa messa in soffitta durante il Covid, attraverso cui la Germania, avendo maggiori margini di bilancio, punta a ricostruire la propria industria, pesantemente colpita dalla guerra in Ucraina, dalla transizione energetica e dalla sempre più ingombrante concorrenza cinese.
Tutto ciò in un contesto incerto, con il rischio recessione all’orizzonte e, dunque, ulteriori pressioni sulle future decisioni di Lagarde.
Bank of England, la strada è lunga ed irta di ostacoli.
Appena due giorni fa, invece, era il 22 giugno, si è riunito il board di Bank of England.
La situazione Oltremanica appare più complessa che altrove.
L’ostinata inflazione nel Regno Unito, in controtendenza rispetto ad Europa e Stati Uniti, vista a maggio ancora all’8.7% – quella core, ossia spogliata dagli energetici e dai generi alimentari, è invece al 7.1%, il livello più alto in 31 anni – ha spinto il Governatore Andrew Bailey ad una stretta doppia rispetto a quanto operato da Lagarde, 50 punti base, la tredicesima consecutiva, una mossa che acuirà la condizione di chi detiene mutui a tasso variabile e che spingerà verso il basso il prezzo delle case.
“L’economia sta andando meglio del previsto, ma l’inflazione è ancora troppo alta e dobbiamo affrontarla“, si è giustificato Bailey, aggiungendo che “Se non lo facciamo adesso – riferendosi all’aumento dei tassi – potrebbe andare peggio in seguito”.
Con questa decisione i tassi raggiungono il 5%, il livello più alto dall’aprile del 2008.
Infine, un recente sondaggio, mostra come sempre gli inglesi siano delusi dalle promesse disattese di Brexit, al punto che alcuni osservatori cominciano a prospettare un rientro del Regno Unito nell’Unione Europea nei prossimi dieci anni.

Bank of Japan, aspettiamo ancora un po’.
Anche in Giappone le previsioni sono state disattese.
Il neo-Governatore Kazuo Ueda non ha (ancora) attuato il cambio di passo che in molti si aspettavano, preferendo mantenere un atteggiamento attendista, in linea con quello assunto dal suo predecessore, Haruhiko Kuroda.
Mentre, infatti, i banchieri centrali occidentali continuano a manifestare la necessità di ulteriori aumenti dei tassi, Bank of Japan non pare interessata a frenare l’aumento dei prezzi.
I tassi restano su un sentiero negativo (-0,100%), nessuna variazione neppure sul controllo della curva dei rendimenti, da molti indicato come il primo segnale di un cambio di tendenza della politica monetaria del Sol Levante. Su questo ultimo fronte, Ueda non ha escluso la possibilità di modifiche nella prossima riunione di luglio, staremo a vedere.
In generale, la differenza sostanziale tra Fed, BCE e BoE e Bank of Japan sta nel fatto che le prime temono di fare troppo poco nella lotta all’inflazione, e dunque hanno continuato a tirare dritto con politiche monetarie restrittive, mentre quest’ultima ha il timore di fare troppo.
Il motivo è presto spiegabile: il Giappone ha convissuto con una profondissima deflazione per oltre un decennio, a cui nessuna politica espansiva, tanto monetaria, quanto fiscale, è riuscita a porvi rimedio, prefigurando la famosa “Trappola della liquidità” di cui parlava Milton Keynes.
Tra l’altro c’è un differenziale piuttosto ampio tra le stime inflazionistiche degli operatori finanziari e quelle di BoJ: Goldman Sachs vede il livello dei prezzi al 2.8%, un punto in più rispetto a BoJ (1.8%).
People’s Bank of China, la priorità è sostenere la crescita.
Martedì 20 è stato invece il turno di People’s Bank of China (PBOC).
Yi Gang, Governatore di PBOC, ha annunciato il taglio del tasso primario dei prestiti ad uno e a cinque anni di 10 punti base, portandoli, rispettivamente al 3.55% e al 4.2%.
La mossa ha l’obiettivo di stimolare investimenti e consumi, dopo che l’agognata ripresa post-Covid stenta a prendere slancio. L’ultima riduzione dei tassi risaliva allo scorso agosto, quando il blocco improvviso di Shanghai, causa Covid, aveva avuto un impatto negativo sull’economia del Dragone.
Tuttavia, gli analisti ritengono insufficienti le decisioni prese di PBOC, difficilmente la Cina riuscirà a centrare l’obiettivo di crescita del 5% che il Presidente Xi si è dato: il tasso di disoccupazione tra i giovani ha raggiunto la percentuale record del 20,8%, mentre gli investimenti immobiliari sono diminuiti del 7,2% a maggio.
Sono proprio le difficoltà del settore immobiliare ad incidere pesantemente sulla ripresa: le aziende costruttrici, profondamente indebitate, non riescono a completare i progetti già cominciati. Già la scorsa settimana, PBOC aveva tagliato di 10 punti base il tasso sui prestiti a medio termine concessi ad alcune banche, portandolo al 2,65%, e abbassato quello repo a sette giorni, il tasso chiave al quale fornisce liquidità a brevissimo termine alle banche, all’1,90%.
Turchia, fine dell’Erdoganomics?
La Turchia sembra finalmente essersi messa alle spalle le tragicomiche ricette di politica monetaria del suo Presidente Erdogan, denominate “Erdoganomics“, dalla cui mancata realizzazione erano scaturiti, dal 2018, ben 5 licenziamenti alla guida della massima istituzione di politica monetaria del Paese.
A due settimane dalla sua nomina, Hafize Gaye Erkan, ex banchiere di Goldman Sachs, ha operato una prima correzione, aumentando il tasso di riferimento di 6.5 punti percentuali, portandolo così al 15%.

Il primo rialzo da marzo 2021 è stato però inferiore a quanto auspicato dai mercati, ricordiamo infatti che la Turchia deve affrontare un tasso di inflazione del 39,6%.
La lira ha così registrato un nuovo record negativo: ne servono oltre 25 ora per ottenere un dollaro americano.

Saranno dunque necessarie strette monetarie ben più cospicue per riportare l’economia turca ad un tasso di inflazione ad una cifra, Erdogan, reduce dalla vittoria alle ultime elezioni, lo consentirà?
Di ritorno dal suo primo tour all’estero post-elettorale, il Presidente turco ha dichiarato ai giornalisti di aver accettato le misure rapide proposte dal neo-Ministro delle Finanze Mehmet Simsek, per migliorare la situazione.
La stessa nomina della Erkan parrebbe essere stata suggerita da Simsek.
Il suo predecessore, Sahap Kavcioglu, è ora a capo dell’Agenzia turca di regolamentazione e vigilanza bancaria (BRSA).
I mercati valuteranno quanto margine di manovra concederà davvero Erdogan alla sua nuova squadra e, soprattutto, per quanto tempo: per il prossimo marzo sono in programmi le elezioni locali, dove Erdogan mira a riconquistare le grandi città di Istanbul ed Ankara, dove le opposizioni nelle ultime tornate hanno prevalso.
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