“C’è una cosa sulla quale gli economisti tendono a sbagliare continuamente: fare previsioni sul futuro.“, eppure, da che mondo è mondo, provare a predire il futuro non ha mai smesso di affascinare gli essere umani, figuriamoci i seguaci della scienza che si basa per antonomasia sulle aspettative.
Con l’aiuto di Bloomberg, allora, cerchiamo di fare il punto su cosa ci riserverà la politica monetaria di 23 delle principali banche centrali del mondo, le quali rappresentano quasi il 90% dell’intera economia mondiale.
L’impressione generale è che la politica monetaria resterà accomodante anche per il 2020 lasciando però ampio spazio, rispetto al passato, a quella fiscale.
Cominciamo dalla Federal Reserve.
Jerome Powell, nel corso dell’ultima riunione del board della Fed tenutasi lo scorso 11 dicembre, ha annunciato che, salvo sorprese, i tassi resteranno a lungo nell’intervallo 1.5%-1.75%, dunque per il 2020 non dovrebbero esserci variazioni, a differenza di quanto accaduto nel 2019, quando i tagli di 0.25 punti percentuali furono addirittura tre.
Tale presa di posizione si presume nasca anche dalla volontà da parte del banchiere centrale di non essere un fattore nel corso delle prossime elezioni presidenziali che si terranno a fine anno.
Ciò nonostante, le tensioni nei mercati monetari registrate a fine 2019 potrebbero ritornare costringendo Powell a nuovi acquisti sul mercato del buoni del tesoro allo scopo di ripristinare liquidità.
European Central Bank.
Seppur la nuova BCE a guida Christine Lagarde si sia impegnata ad intensificare gli stimoli monetari nel caso le condizioni economiche lo rendano necessario, è improbabile che ciò avvenga.
Il pacchetto di misure lasciato in eredità dal suo predecessore Mario Draghi, il cui ultimo, per altro discusso, aggiornamento risale a settembre, dovrebbe restare inalterato per tutto il 2020 e con esso il costo del denaro, a 0 dal marzo del 2016.
Christine Lagarde, nella sua prima conferenza da Presidente della BCE si è detta concentrata nella determinazione di una nuova Strategy Review per l’Eurozona di cui dovremmo avere le prime notizie già nel corso di questo mese.
Bank of Japan.
Il pacchetto di misure di politica fiscale espansiva presentato un mese fa dal Premier Shinzo Abe sembra aver migliorato le prospettive di Bank of Japan.
L’impressione è che il Governatore Haruhiko Kuroda resterà in attesa degli sviluppi che lo stimolo fiscale produrrà, e non potrebbe fare altrimenti dato che i tassi sono già in territorio negativo e le attività del bilancio dell’istituto che presiede valgono già più dell’intera economia del Sol Levante.
Altre variabili di cui tener conto saranno l’esito della guerra commerciale USA-Cina e l’effetto che l’incremento dell’imposta sui consumi (dall’8 al 10%) produrrà su di essi.
Insomma spazio alla politica fiscale, tenendo però bene a mente che Bank of Japan non si è mai tirata indietro in caso di necessità, le principali innovazioni sotto il profilo della politica monetaria degli ultimi decenni portano tutte la sua firma.
Bank of England.
La netta affermazione di Boris Johnson nelle elezioni politiche del mese scorso ha chiarito una volta per tutte che Brexit ci sarà e, se possibile, anche nel termine precedentemente fissato del 31 gennaio.
Quale piega prenderà però l’accordo tra Regno Unito e Unione Europea non è ancora chiaro, intanto i responsabili politici di Bank of England tifano per una riduzione dei tassi allo scopo di difendere il Paese dagli effetti negativi di breve periodo che certamente Brexit produrrà.
A gestire la difficile transizione sarà Andrew Bailey che il prossimo 16 marzo prenderà il posto di Mark Carney, giunto alla fine del suo mandato.
La situazione è dunque in divenire è allo stato attuale appare difficile fare previsioni, se non quella che Bank of England si manterrà accomodante per tutto il 2020.
Bank of Canada.
Il Canada è, tra le principali economie avanzate, il Paese che detiene il più alto tasso di sconto: +1.75%. Si prevede che esso rimarrà tale almeno fino a giugno 2019, quando il governatore Stephen Poloz terminerà il suo mandato settennale.
I motivi che spingono il Governatore a non allinearsi al tendenziale allentamento globale risiedono in un tasso di inflazione vicino al target del 2% e la scarsa predisposizione della politica nel sostenere ulteriore debito.
Vero è che i tagli compiuti dalla Fed nel corso dell’ultimo anno hanno danneggiato gli esportatori canadesi, i quali hanno visto ridurre la competitività dei propri prodotti sui mercati internazionali, ma la stabilizzazione in atto dell’economia globale fa pensare che non ci sarà necessità di aggiustamenti per il 2020.
People’s Bank of China.
La Banca Centrale Cinese appare orientata a confermare l’orientamento prudente registrato nel 2019. Chi chiede un alleggerimento monetario, dunque, potrebbe rimanere deluso anche quest’anno: Pechino infatti teme la stagflazione.
Se è vero il tasso di crescita del PIL atteso per quest’anno intorno al 6% – il risultato più basso in trent’anni – dovrebbe far propendere per una manovra di alleggerimento monetario da parte di PBOC, è vero anche che un’inflazione oltre l’obiettivo del 3% tiene tale eventualità ancora lontana, consigliando di continuare sulla strada dell’abbassamento dei tassi sui prestiti.
Reserve Bank of India.
Il tasso di inflazione superiore al target range 2%-6%, frutto soprattutto dell’aumento repentino del costo delle cipolle, sta limitando le possibilità di Reserve Bank of India di sostenere l’economia, al livello più basso in oltre sei anni.
Dopo i cinque tagli del 2019, per un ammontare complessivo di 135 punti base, il Governatore Shaktikanta Das parrebbe orientato ad osservare un periodo di pausa in attesa che la spirale inflazionistica si plachi, per poi presumibilmente riprendere la strategia dei tagli nella seconda parte del 2020.
Central Bank of Brazil.
I quattro tagli operati da Central Bank of Brazil nel 2019 hanno portato il costo del denaro al 4.5%, il minimo storico.
Tra gli investitori si discute sull’eventualità che possa essercene un ulteriore di 25 punti base nel corso della riunione del board in febbraio, del resto, le aspettative sul tasso di inflazione restano all’interno del target ed il graduale miglioramento delle performance economiche del Paese dopo tre anni di stagnazione lasciano aperti a questa possibilità, per poi mantenersi stabile fino alla fine dell’anno.
Bank of Russia.
Nonostante i cinque tagli operati nel 2019 dal Governatore Elivira Nabiullina, l’inflazione in Russia continua a scendere: l’ultimo dato osservato la vede a +3.539%, sempre più distante dal target del 4%.
Anche le performance economiche fatte registrare nel 2019 dalla Federazione Russa non sembrano aver beneficiato di tali tagli, probabilmente anche in virtù dei ritardi sul fronte dell’aumento della spesa pubblica fatti registrare dall’Esecutivo.
L’idea del Governatore è che ci vorrà del tempo per valutare gli effetti di tali allentamenti e non ha escluso un ulteriore taglio nel corso dell’anno, con ogni probabilità in febbraio.
South African Reserve Bank.
La contrazione inaspettata fatta registrare dall’economia sudafricana nel corso del terzo trimestre del 2019 ha messo sotto pressione South African Reserve Bank, a cui gli investitori chiedono un taglio dei tassi, spaventati dal rischio di una seconda recessione in altrettanti anni.
L’inflazione, al minimo da nove anni, si sta avvicinando al limite inferiore dell’intervallo obiettivo 3%-6%.
Il Governatore Lesetja Kganyago, nel corso della riunione finale del Monetary Policy Committee del 2019, ha tenuto però a precisare che “L’uso della politica monetaria per compensare i fallimenti del Governo” in termini di incertezza delle politiche e deterioramento delle finanze pubbliche “non è la strada da percorrere”.
Un allentamento in questo momento, infatti, potrebbe coincidere con il declassamento di Moody’s, che porterebbe i titoli sudafricani da “Investment-grade” a “Non-Investment grade”.
Banco de Mexico.
Banco de Mexico detiene il tasso di interesse reale (ossia al netto dell’inflazione) più elevato tra i Paesi del G20.
Nel periodo che va dal 20 dicembre 2018 al 19 dicembre 2019, il Governatore Alejandro Diaz de Leon ha tagliato i tassi di un punto percentuale, portandoli al 7.250%, dopo che l’inflazione aveva raggiunto il target del 3% e la crescita economica era rimasta piatta.
La sensazione è che per il 2020 Banco de Mexico perseguirà la via del taglio dei tassi per ulteriori 75 punti base, generando un aumento solo temporaneo delle prospettive di inflazione, ma continuando a mantenere una posizione restrittiva.
Bank Indonesia.
La più grande economia del sud-est asiatico sta reagendo abbastanza bene alla guerra commerciale USA-Cina, la quale ha contribuito alla diminuzione delle proprie esportazioni per ben 13 mesi consecutivi, continuando a crescere ad un tasso del 5%.
Ciò nonostante, il Governatore Perry Warjiyo ha dichiarato che la possibilità di ulteriori diminuzioni dei tassi è possibile.
Anche sul fronte del target inflazionistico è previsto un cambiamento: Nel 2020 si passerà dal precedente range 2.5%-4.5% al più basso 2%-4%, fornendo così ulteriori margini di manovra per un nuovo taglio dei tassi, da bilanciare in modo da non alterare eccessivamente il valore della rupia.
Central Bank of Turkey.
Per la Banca Centrale turca sono tempi complicati.
Dopo il licenziamento da parte di Erdogan del Governatore Murat Çetinkaya, la prima volta dal colpo di stato del 1981, il suo successore, Murat Uysal, si trova ad operare in completa subalternità rispetto al Presidente turco.
In 15 mesi, infatti, i due Governatori si sono visti costretti a dimezzare il tasso di sconto (dal 24 al 12%) e per il 2020 ci si attende che esso possa per la prima volta arrivare addirittura sotto il 10%, con effetti pericolosi per la tenuta della lira turca.
Erdogan è fermamente convinto che la riduzione dei tassi porti ad un calo dell’inflazione, un assioma che è agli antipodi con quanto viene insegnato in qualsiasi corso di macroeconomia.
Central Bank of Nigeria.
La Banca Centrale nigeriana continuerà a tenere una politica monetaria restrittiva per tutto il 2020.
I prezzi dei generi alimentari sono infatti in aumento a causa dei vincoli di approvvigionamento dovuti alla chiusura delle frontiere terrestri allo scopo di contrastare il contrabbando.
Il Governatore Godwin Emefiele ha affermato che prenderà in considerazione tagli ai tassi solo quando l’inflazione raggiungerà l’estremità superiore della target range 6%-9%.
Mantenere il costo del denaro al 13,5% permetterà inoltre di sostenere il naira, sotto pressione a causa delle riserve in diminuzione.
Al momento, Central Bank of Nigeria è desiderosa di stimolare la crescita economica nel più grande produttore di petrolio del continente, ma è probabile che ciò avvenga attraverso l’utilizzo di strumenti politici non tradizionali, come l’aumento del rapporto prestiti/depositi, in modo da costringere le istituzioni finanziarie ad erogare credito per sostenere gli investimenti.
Bank of Korea.
Bank of Korea si aspetta una graduale ripresa dell’economia coreana per il 2020, come effetto dei due tagli attuati negli ultimi sei mesi, di una strategia di politica fiscale espansiva e, più in generale, di un aumento della domanda globale dei prodotti coreani.
Se la ripresa auspicata non dovesse concretizzarsi, il Governatore Lee Ju-yeol potrebbe spingersi fino ad un ulteriore taglio nonostante i margini di manovra siano ormai risicati: ricordiamo infatti che il tasso di riferimento si trova a livelli minimi (1.25%) e che il debito delle famiglie è già a livelli record. Infine, al momento, Bank of Korea ritiene prematuro lo studio di misure non convenzionali quali il QE.
Reserve Bank of Australia.
I tre tagli dei tassi di 0.25% ciascuno operati da Reserve Bank of Australia nell’ultimo anno non hanno contribuito al miglioramento della crescita economica australiana: la fiducia di imprese e consumatori è debole e il tasso di disoccupazione è visto in aumento.
Tale condizione potrebbe spingere entro la fine dell’anno il Governatore Philip Lowe a portare il tasso di sconto dallo 0.75% allo 0.25%. Se ciò non dovesse bastare e il Governo continuasse ad evitare stimoli fiscali, egli si è spinto a dichiarare che, tra le misure di politica monetaria non convenzionali possibili, sceglierebbe quella del QE.
Central Bank of Argentina.
Miguel Pesce, nuovo Governatore della Banca Centrale argentina, ha davanti a sé sfide tutt’altro che semplici: un’economia in crisi ed affetta da un tasso di inflazione oltre il 50%.
L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare ad un tasso ad una cifra entro la fine del 2021, attraverso l’utilizzo della politica monetaria e un accordo tra le parti sociali promosso dal Presidente Alberto Fernandez.
L’idea di base sarebbe quella di tenere il peso argentino su livelli deboli attraverso interventi sul mercato dei cambi allo scopo di rilanciare le esportazioni.
Per controllare l’inflazione, invece, la banca potrebbe cercare di frenare gli aggregati monetari mentre il Governo, come detto, cercherà di stringere accordi con il settore produttivo per mantenere i prezzi stabili.
Swiss National Bank.
Con l’Eurozona bloccata verso una politica monetaria accomodante, la Banca centrale svizzera appare convinta a continuare per il quinto anno consecutivo con la politica dei tassi zero, impegnandosi ad intraprendere interventi per arginare la pressione di apprezzamento sul franco svizzero.
Nonostante l’opposizione verso questa strategia da parte del sistema bancario, il tasso di inflazione pari a zero non dà molte altre possibilità al Governatore Thomas Jordan, il quale tema che un allontanamento dai tassi di riferimento comporterebbe una maggiore pressione sul franco svizzero quale valuta rifugio.
Sveriges Riksbank.
Il 19 dicembre scorso la Banca Centrale svedese ha concluso i quasi 5 anni di tassi negativi portando il costo del denaro a zero, valore su cui si attesterà probabilmente fino alla fine del 2020 o addirittura fino al 2022.
Nonostante l’economia svedese stia osservando un rallentamento e l’inflazione venga vista ancora sotto il target del 2%, il Governatore Stefan Ingves ha avuto fretta nel lasciarsi alle spalle l’esperimento di politica monetaria ultraespansivo, confermando il nomignolo di sadomonetarista che Paul Krugman gli affibbiò nel 2014, quando decise di tenere i tassi troppo alti rispetto a quanto era allora ritenuto necessario dal famoso Premio Nobel.
Norge Bank.
Mentre tutti gli altri Banchieri Centrali si preoccupavano di tagliare i tassi, il Governatore di Norge Bank, Oystein Olsen, dal settembre del 2018, ha operato ben quattro aumenti, portando il costo del denaro all’1.5%.
Per il 2020 gli osservatori non si aspettano ulteriori aumenti anche se Olsen, che rifiuta l’idea di essere definito “falco”, ha mantenuto al 40% le probabilità di un ulteriore rialzo dei tassi per il 2020, nonostante le prospettive di crescita delle economia norvegese siano state viste in ribasso.
Reserve Bank of New Zealand.
Gli osservatori si dividono sulle possibilità di un taglio dei tassi di 25 punti base per il 2020 da parte di Adrian Orr, Governatore di Reserve Bank of New Zealand.
Le nuove regole patrimoniali messe a punto sono risultate meno onerose del previsto, allentando così i timori di un aumento dei costi connessi alla richiesta di prestiti e eventuali compensazioni da parte della politica monetaria. L’annuncio inoltre di un pacchetto di spesa fiscale da parte del Governo potrebbe ulteriormente alleviare la pressione sulla RBNZ per fare di più per stimolare la crescita.
National Bank of Poland.
Il tasso di sconto in Polonia, all’1.5% dal 2015, dovrebbe mantenersi tale anche per il 2020, il periodo più lungo di stabilità sul fronte del costo del denaro per la più grande economia orientale dell’Unione Europea.
L’inflazione, nonostante abbia toccato i massimi da sei anni, non preoccupa il Governatore Adam Glapinksi, secondo cui la stabilità consentirà un’espansione dell’economia polacca – per la verità la più lenta fatta registrare negli ultimi tre anni – equilibrata e persistente.
Czech Nazional Bank.
La banca centrale ceca è tra le poche in Europa che sta ancora discutendo circa un aumento dei tassi di interesse: alcuni ritengono sia necessaria una politica economica più rigorosa allo scopo di frenare l’inflazione, dato anche uno dei tassi di disoccupazione più bassi dell’UE, altri, al momento la maggioranza, sostengono che un’economia orientata alle esportazioni come quella ceca potrebbe subire uno stop dovuto al rallentamento dei suoi principali partner commerciali, la Germania su tutti, e dunque sarebbe auspicabile attendere.
Ho finito, grazie per la lettura, spero abbiate trovato questo articolo esaustivo, nel caso vi chiedo di condividerlo, ne approfitto poi per augurarvi un sereno anno nuovo e vi ricordo che iscrivendovi alla newsletter o alla mia pagina Facebook resterete aggiornati riguardo le future pubblicazioni.