Andrew Bailey, Governatore di Bank of England.

La settimana che sta per concludersi ha visto anche la riunione del board di Bank of England, che ha annunciato un’ulteriore stretta di un quarto di punto, la quarta consecutiva.

Il livello dei tassi è ora all’1%, il valore più alto dall’inizio del 2009.

Quelle diramate dal Governatore Andrew Bailey sono senza dubbio le prospettive più cupe di qualsiasi altra grande banca centrale, con un’inflazione vista a due cifre (10.2%) e un periodo di stagnazione economica che di preannuncia piuttosto lungo, con il rischio di poter presto virare verso una recessione.

Fonte: Bloomberg.

Sì, perché, sebbene al momento una recessione tecnica – due trimestri consecutivi di contrazione – venga scongiurata, si preannunciano tempi duri per il Regno Unito, sul quale pesano, non solo lo shock pandemico e quello della crisi Ucraina, ma anche Brexit.

A proposito di Brexit, le elezioni locali non hanno sorriso al Premier inglese Boris Johnson, colui il quale ha portato a compimento l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, al quale i sudditi di Sua Maestà ora chiedono risposte riguardo la più grande compressione del loro tenore di vita degli ultimi decenni, nonostante i proclami durante il referendum del 2016 avessero fatto intendere tutt’altro.

I proclami del fronte del “Leave” durante la campagna referendaria su Brexit.

Dunque, se abbiamo spesso detto che i banchieri centrali in questa fase si muovono su un sentiero stretto, quello di Bailey appare addirittura strettissimo, e la decisione di aumentare i tassi, seppur arrivata all’unanimità – tre membri del board, Jonathan Haskel, Catherine Mann e Michael Saunders, avrebbero preferito una stretta maggiore, nell’ordine del mezzo punto – rischia di acuire una situazione già difficile.

Di par suo, Bailey ha un po’ ripreso il discorso fatto appena il giorno prima da Jerome Powell, chairman della Federal Reserve statunitense, secondo cui, il compito del banchiere centrale, non disponendo degli strumenti per supportare la domanda, sia limitato a tenere a bada il tasso di inflazione.

Per altro BoE non sembra avere neppure il cuscinetto auspicato dal suo omologo a stelle e strisce: il board ha infatti deciso di non avviare la vendita mensile degli 875 miliardi di sterline di asset che l’Istituzione ha accumulato nell’ambito dei suoi programmi di quantitative easing dal 2009, preferendo invece “lavorare su una strategia per la vendita di titoli di Stato del Regno Unito”, che dovrebbe aver luogo subito dopo l’estate.

Tutto ciò ha avuto ripercussioni anche sulla sterlina e sui titoli di Stato: la valuta inglese ha subìto un deprezzamento del 2% rispetto al dollaro, a $ 1,2364, mentre il rendimento dei gilt a due anni è crollato di 0,25 punti percentuali, all’1,37%.

Infine, nel prossimo futuro non si prevedono grossi scossoni: come detto, il sentiero è strettissimo, è dunque improbabile che BoE si lanci in eccessive strette. Si procederà con cautela, l’inflazione va tenuta a bada senza però gettare il Paese in recessione.

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