La situazione si fa sempre più complessa.
Potrebbe essere così sintetizzato l’esito della riunione del board della BCE andata in scena ieri.
Sebbene la massima istituzione di politica monetaria dell’Eurozona abbia confermato le decisioni prese in dicembre, di seguito riportate, dalla conferenza stampa della Presidente Christine Lagarde sono emersi degli spunti che lasciano presagire un aumento dei tassi già quest’anno,
in anticipo rispetto alla precedente tabella di marcia, seguendo, dunque, la strategia dei suoi colleghi occidentali, Jerome Powell alla Fed e Andrew Bailey a Bank of England, con quest’ultimo che, qualche ora prima, aveva ulteriormente inasprito la politica monetaria del Regno Unito, appena dopo la stretta annunciata in dicembre.
La BCE conferma la sua posizione accomodante:
- Il tassi di interesse principale rimane a zero, e non aumenterà fino a quando le proiezioni non mostreranno un’inflazione sostenibile al 2% e le pressioni sui prezzi sottostanti non saranno coerenti con tale obiettivo.
- ll tasso di deposito rimane a -0.5%.
- Il tasso sui prestiti marginali resta a 0.25%.
- Il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme), con i suoi complessivi 1850 miliardi, continuerà almeno fino alla fine di marzo e comunque fino a quando non si giudicherà conclusa l’emergenza pandemica; inoltre, ci si aspetta che nel trimestre in corso gli acquisti saranno condotti ad un ritmo significativamente più alto.
- L’APP (Asset Purchase Program) sarà portata a 40 miliardi di euro/mese nel secondo trimestre, 30 miliardi di euro/mese nel terzo trimestre e 20 miliardi di euro/mese da ottobre in poi
Inutile girarci intorno: l’inflazione spaventa, a maggior ragione in un’unione valutaria incompleta, con ciascun Paese ancora indipendente sul piano della politica fiscale e con il problema del debito, peraltro acuito dallo shock pandemico, a rendere la situazione, come detto in apertura, ancor più complessa che altrove.
La stessa Christine Lagarde, anche ieri, non ha brillato sotto il profilo della comunicazione e, si sa, l’incertezza non è mai foriera di buone notizie.
L’ex Presidente del Fondo Monetario Internazionale, le cui parole sono state viste non del tutto coerenti con quanto annunciato dall’Istituzione che presiede, ha la strenua necessità di trovare quel giusto equilibrio tra il tenere a bada le aspettative del mercato e l’astenersi da promesse che potrebbero essere disattese già nel breve, minando così la credibilità dell’Istituzione e la sua capacità futura di indirizzare la politica economica dell’Area Euro.
La sensazione è che, anche stavolta, il Vecchio Continente paghi i troppi errori strategici commessi in passato, sia dal punto di vista interno – come detto, con un’unione ancora lontana dal suo completamento – sia, e probabilmente ne è la conseguenza, sul piano internazionale: dall’eccessiva dipendenza dal resto del mondo sul piano energetico – la repentina svolta green rischia di acuire ancor di più la situazione – sul piano della componentistica, avendo deciso di “delegare” settori chiave, come quella della produzione di chip, ad altre aree del mondo, sia dal punto di vista politico e militare, vedi la crisi in Crimea, preferendo per decenni adagiarsi sotto l’ala protettiva di Washington.
Alle criticità emerse durante la Crisi del Debito aveva messo una pezza Mario Draghi, ora Lagarde non sembra in grado di assolvere il gravoso compito. L’attuale Premier italiano, seppure in una posizione diversa, potrebbe ancora recitare un ruolo importante, sia restando a lungo a Palazzo Chigi, sia, conclusa l’attuale esperienza tra un anno, ammesso che non venga riconfermato, in una posizione di vertice in Europa, per esempio a capo del Consiglio Europeo.
Ma le pezze non possono durare in eterno, alla lunga si inzuppano, serve che tutti i leader europei, insieme, a cominciare dal neo eletto Cancelliere tedesco, Olaf Scholz, prendano decisioni forti e lungimiranti, scevre dal facile consenso elettorale, il 2022 potrebbe essere l’anno decisivo.
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