Se non ora, quando?
Così concludevo il mio ultimo articolo sull’opportunità che il coronavirus stava indirettamente dando all’Europa per diventare finalmente quella sognata dai padri fondatori.
Ed è esattamente la stessa domanda che mi pongo quando si vocifera sull’eventualità di Mario Draghi come nuovo Premier del Governo italiano: se non ora, quando?
E’ finito il tempo degli apprendisti, degli uno vale uno, della retorica e dei decreti contagocce esibiti in diretta Facebook come stessimo guardando l’ultima avvincente serie Netflix, di un avvocato trovatosi a fare il Premier senza sapere neppure come, di un Ministro degli Esteri che non parla una parola d’inglese o di un Ministro della Giustizia che sognava di fare il Dj sulla riviera romagnola, per affrontare quello che molti considerano il periodo più difficile dell’era repubblicana occorrono le migliori energie e personalità che il Paese è in grado di offrire, non sfruttarle sarebbe assurdo, innaturale, inconcepibile, a maggior ragione se, con l’editoriale di qualche giorno fa per il Financial Times, l’ex Presidente della Banca Centrale Europea ha indirettamente dichiarato di voler scendere in campo.
E se a ciò si aggiunge l’endorsement del capo dell’opposizione, quel Matteo Salvini da tanti odiato ma che, stando agli ultimi sondaggi, un italiano su tre ancora voterebbe, il quale, nel 2011 fu l’unico a non dare la fiducia al Governo Monti e che, a quella mossa da free rider deve gran parte della sua incredibile ascesa politica, capirete bene che trattasi di un’occasione troppa ghiotta da non essere colta.
Parliamoci chiaro, le condizioni economiche e finanziarie in cui versa il nostro Paese sono complesse da tempo: la bassa crescita perdura ormai dagli anni ’90 e l’alto debito, sua conseguenza, complice anche la mole di interessi, non fa che aumentare nonostante decenni di avanzi di bilancio. Le esigue risorse a disposizione, spesso frutto di complesse trattative con Bruxelles, a causa dell’instabilità dei nostri Esecutivi, vanno costantemente a foraggiare l’assistenzialismo anziché gli investimenti di cui il Paese avrebbe bisogno per ritornare su un sentiero di crescita in linea con gli altri partner europei.
Ritengo che sia proprio nei periodi di difficoltà, quale quello che stiamo vivendo, che si possano costruire le basi per una rinascita dell’Italia, prima ancora dell’Europa.
Altrimenti, quando, non senza difficoltà, l’emergenza coronavirus sarà risolta, noi ci troveremo punto e accapo, anzi, con una situazione ancor più complicata da gestire, con una produzione industriale dimezzata, un debito pubblico ancor più elevato e margini di manovra praticamente azzerati, dunque all’orizzonte una patrimoniale durissima, l’arrivo della Troika e la ristrutturazione del debito.
Non possiamo galleggiare all’infinito.
In sintesi, per combattere l’emergenza sanitaria attuale, a proposito, come brillantemente spiegato da Harvard Business Review non esiste alcun “modello Italia”, di errori ne sono stati compiuti e numerosi, e, ancor di più, per attuare quelle misure di cui il Paese necessita, per ridare un’immagine di Paese serio al mondo e, perché no, far sentire il proprio peso politico sulle importanti decisioni che in questi mesi verranno prese presso le istituzioni europee, serve un Governo di unità nazionale, sostenuto da tutti i partiti, maggioranza e opposizione, che raccolga le migliori competenze di cui il Paese dispone.
Come suggeriva l’ex Premier Monti, in un’intervista rilasciata al Corriere qualche giorno fa, “Serve un confronto serrato ai massimi livelli, con lo sforzo di capire le posizioni dell’altro anziché stigmatizzarlo di fronte alla propria opinione pubblica”, dichiarare “Faremo da soli” come fatto dal nostro Premier e da alcuni esponenti del nostro Governo è ridicolo per un Paese indebitato come il nostro, da soli si va soltanto dritti verso il default. E, ancora, citando le parole del Senatore a vita, “Non c’è da appendersi ai coronabond come unico metro del successo negoziale e dichiarare che ogni solidarietà europea è mancata se questi non dovessero vedere la luce”, occorre mediare in maniera intelligente e nessuno più dell’ex Presidente della BCE, colui che durante la Crisi del debito sfidò i falchi del Nord Europa senza timore, avrebbe argomenti, autorevolezza e capacità per poterlo fare.
Del resto l’Europa, per quanto con il solito odioso incedere balbettante e mai rassicurante, ha fatto la sua parte: il “Patto di Stabilità e Crescita” è stato sospeso, quindi non c’è più il famoso rapporto deficit/PIL al 3%, che tanto ci ha fatto penare, da rispettare, non c’è più quella rigida disciplina sugli aiuti di Stato con cui il commissario Margrethe Vestager ci ha spesso bacchettato, la Banca Centrale Europea, dal canto suo, dopo la gaffe clamorosa del suo Presidente, Christine Lagarde, si è rimessa in carreggiata con provvedimenti che non hanno precedenti nella sua storia; insomma, tutti i vincoli formali sulle possibilità di spesa dei Governi sono saltati, restano soltanto quelli, per altro mitigati dall’intervento di Francoforte che calmiererà i tassi di interessi, legati alla gestione dei debiti dei Paesi maggiormente indebitati il cui contrasto all’emergenza coronavirus potrebbe far esplodere, un problema dunque più nostro che dell’Europa nel suo complesso.
Smettiamola allora di inveire contro questo o quel Paese, smettiamola di inseguire i moti inconcludenti di populisti e sovranisti, dai periodi di crisi si esce tutti insieme con senso di responsabilità e serietà, che capacità e competenza tornino al centro della vita politica di questo Paese.
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