
Dagli ultimi meeting delle principali banche centrali del mondo è emersa una view piuttosto omogenea: l’economia mondiale sta rallentando e con essa l’inflazione, dunque, non saranno necessari ulteriori aumenti dei tassi per spingerla verso i rispettivi target.
Ciò però non vuol dire che, come invece aveva ipotizzato qualche addetto ai lavori, da qui a qualche mese ci sarà un’inversione di tendenza e che, dunque, all’incessante aumento dei tassi registrati nell’ultimo anno e più, seguirà un repentino allentamento.
L’idea dominante in questa fase è che si sia arrivati ad un punto di transizione, caratterizzato da disinflazione e bassa crescita, complice anche l’aumento del prezzo del petrolio, in cui i banchieri centrali si siederanno sulla riva del fiume – come si suol dire – attendendo gli effetti di quanto prodotto sinora.
Piccola digressione: per completezza di analisi non va dimenticato che, tendenzialmente, occorre attendere tra i 6 ed i 9 mesi prima che una decisione di politica monetaria produca degli effetti tangibili sulle variabili reali di un sistema economico; da qui, la mia ricorrente critica “alla dipendenza dai dati”: un banchiere centrale dovrebbe anticipare i dati, non agire in funzione di essi, altrimenti si troverà sempre ad inseguire.
È in quest’ottica che vanno letti i mancati inasprimenti di Fed, Bank of Japan, Bank of England e Swiss National Bank, in particolare di queste ultime due che, come si dice in questi casi, hanno sorpreso i mercati, convinti che avrebbero perseguito un’ulteriore stretta di un quarto di punto.
Ciò che ha annunciato Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea lo scorso 14 settembre, portando il livello del costo del denaro in Eurozona al 4.50%, il livello più alto da quando esiste l’Istituzione, e ciò che hanno annunciato, peraltro, anche i Paesi scandinavi non membri dell’area euro: Danimarca, Norvegia e Svezia.

Philip Lane, capo economista della BCE, ha però dichiarato giovedì che i tassi di interesse sono sulla buona strada per sconfiggere l’inflazione, a condizione che siano “mantenuti per un periodo sufficientemente lungo” ai livelli attuali, un segnale piuttosto chiaro sul fatto che anche i tassi dell’Eurozona abbiano probabilmente raggiunto il picco e che ora sia necessario attendere.
Detto del trend delle economie sviluppate, facciamo ora un breve passaggio su quelle in via di sviluppo.
Tralasciando gli outlier Russia e Turchia, la prima alle prese con le sanzioni, la seconda con il definitivo – si spera – abbandono delle politiche eterodosse di Erdogan, funzionali alla sua nuova affermazione elettorale, la tendenza tra gli emergenti è verso un allentamento delle rispettive politiche monetarie. Brasile, Cile, Polonia, la stessa Cina, sebbene con motivazioni diverse, hanno già cominciato, probabilmente da qui a fine anno seguiranno altre.
Nulla di sorprendente: è chiaro, infatti, che il ritorno dei tassi in Occidente ed il loro perdurare abbia “svuotato” gli emergenti degli investimenti esteri e che, per tutta risposta, la politica monetaria si sia adoperata e si adopererà per sostenere le rispettive economie.
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