Fonte: Bloomberg

La settimana che sta per concludersi ha visto le tre principali banche centrali occidentali, Federal Reserve, BCE e Bank of England, allineate nella decisione di attuare una ulteriore stretta di 50 punti base ai rispettivi tassi di riferimento.

Il ritmo incessante dei rialzi, dunque, caratterizzato negli ultimi mesi da aumenti dello 0.75%, i cosiddetti “jumbo hikes”, registra così una prima – seppur lieve – flessione, complici le aspettative di inflazione, viste finalmente in ribasso.

L’opinione emersa dalle rispettive conferenze stampa, infatti, è che il picco sia ormai alle spalle: d’ora in avanti l’inflazione dovrebbe via via ritornare verso il target del 2%.

Certo, ci vorrà del tempo, e occorrerà rimanere vigili, non a caso tanto Powell, quanto Lagarde e Bailey, hanno confermato la necessità di ulteriori strette, probabilmente di eguale entità, da realizzare nei primi meeting del prossimo anno.

Da un opposto all’altro?

Il pericolo però è che i banchieri centrali stiano commettendo un errore opposto a quello compiuto lo scorso anno, sottovalutando la rapidità con cui l’inflazione potrebbe diminuire.

Allora essi sottovalutarono la nascente spirale inflazionistica – ricorderete tutti il termine “transitorio” ad essa associato e la conseguente inazione – provocando la rapida inversione di tendenza osservata in questi mesi, fatta di aumenti dei tassi costanti e consistenti.

Stavolta, invece, l’eccessivo rigore che sta caratterizzando la loro azione potrebbe acuire una situazione già di per sé preoccupante, con il rischio concreto di causare una profonda recessione.

Stessi sintomi, stessa cura?

Partendo dal presupposto che non esiste cura diversa all’inflazione dell’aumento del costo del denaro, sarebbe a mio avviso necessario fare un distinguo tra le inflazioni osservate in ciascuna regione, questo perché l’inflazione in occidente è sì alta ovunque ma per motivazioni diverse. (Ne avevo già parlato in questo mio articolo lo scorso settembre)

Se infatti negli Stati Uniti l’inflazione è figlia soprattutto del bassissimo tasso di disoccupazione e, probabilmente, delle eccessive politiche fiscali espansive, dovute ai generosi sussidi per il Covid e alla recente campagna elettorale, in Europa l’aumento dei prezzi è scaturito per lo più dalle interruzioni dell’approvvigionamento energetico, conseguenza della guerra in Ucraina. Nel Regno Unito, invece, ad un mix, a cui si aggiunge la travagliata gestione del post Brexit.

Con questo voglio dire che, sebbene il medicinale da dare al malato sia lo stesso, attenzione alle dosi!

E attenzione anche alla prevenzione: come già detto in altre circostanze, il misto di ostinazione e rassegnazione con cui si è scelto di abbandonare la forward guidance è pericoloso, non si può perennemente navigare a vista, la politica monetaria non si fa inseguendo gli eventi.

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