La Banca Centrale Europea, riunitasi ieri per il consueto meeting mensile, ha annunciato un aumento dei tassi di ben 75 punti base. Ciò assume una rilevanza storica: mai, prima d’ora, la massima istituzione di politica monetaria dell’Area Euro era intervenuta con così tanto vigore.
I tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali salgono dunque all’1.25%.
Si tratta, com’è intuibile, di una decisione figlia del preoccupante tasso di inflazione, il quale, nelle ultime rilevazioni di agosto, si è spinto fino al 9.1%.
Chiaro dunque che Christine Lagarde si sia convinta a forzare la mano, seguendo ancora la strada tracciata dal suo omologo alla Fed, Jerome Powell. L’ex Presidente del Fondo Monetario Internazionale, a specifica domanda, non ne ha esclusi degli altri nei prossimi mesi, se le condizioni macroeconomiche dovessero renderlo necessario.
Io credo si stia sbagliando qualcosa.
Osservando i dati, mi pare evidente che la spirale inflazionistica che l’Europa sta subendo derivi in gran parte da problematiche dal lato dell’offerta, ossia dall’aumento dei costi che accompagnano la produzione di beni e servizi, – senza girarci troppo intorno – dai costi dell’energia conseguenti all’invasione dell’Ucraina, non da dinamiche dal lato della domanda, come avvenuto negli Stati Uniti.
Il grafico di Bloomberg, che riporto di seguito, non dà adito ad altre interpretazioni: l’inflazione core, ossia quella spogliata dalle componenti maggiormente soggette a variazioni transitorie dei prezzi, come cibo ed energia, ci dice 4%, un valore sì doppio rispetto al target del 2%, ma ben lontano dal 9.1%.
La mia impressione è che Lagarde, complici le pressioni esterne riguardo il ritardo con cui la BCE si sarebbe mossa, ci stia curando con la medicina sbagliata, una medicina che potrebbe condurci dritti in recessione.
Un eccessivo aumento del costo del denaro non è compatibile con il percorso di ripresa economica Post-Covid auspicato dai leader europei, anzi, rischia di vanificare gli sforzi compiuti sul fronte Next Generation EU.
La forte ripresa che gli Stati Uniti hanno vissuto negli ultimi mesi, drogata dalle eccessive politiche di sostegno all’economia durante lo shock pandemico, sia sul piano fiscale che monetario, le quali hanno contribuito al surriscaldamento dell’economia e quindi alla crescente inflazione al di là dell’oceano, in Europa non c’è stata, e la repentina marcia indietro della Fed ha contribuito al deciso apprezzamento del dollaro sull’euro, rendendo di fatto più costose le nostre importazioni (ricordiamo che le commodity sono quotate in dollari.)
Date le condizioni, qualcosa per forze di cose andava fatto, ma la sensazione è che le modalità con cui la BCE sta affrontando questa fase siano eccessive. Ad ogni modo, un maggior coordinamento tra le banche centrali occidentali sarebbe necessario, nonché auspicabile: non possiamo prendere la stessa medicina degli USA se soffriamo di una patologia diversa.
Gli economisti intervistati da Bloomberg ritengono che la BCE aumenterà il tasso sui depositi fino a raggiungere l’1,5%, in linea di massima dove gli analisti vedono il tasso di interesse “neutrale” che non stimola né vincola l’economia.
In conclusione, osservando l’operato di Lagarde di questi anni, è sempre più evidente che alla BCE siano orfani della competenza e del carisma di Mario Draghi.
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