Quella di ieri è stata una giornata storica per l’Europa.
Il Parlamento europeo, infatti, con 621 voti favorevoli, 49 contrari e 13 astenuti, ha dato il via libera all’accordo che sancisce l’uscita del Regno Unito dall’Unione.
Il deal dunque c’è stato, l’incubo di un’uscita del Regno Unito senza un accordo è stato scongiurato, la Brexit avrà ufficialmente inizio alla mezzanotte del 31 gennaio 2020.
Da quell’istante in poi, le parti avranno tempo sino al 31 dicembre 2020, salvo proroghe, per definire tutti i rapporti commerciali e giuridici e dirimere tutte le controversie emerse da quel 23 giugno del 2016, data dello storico referendum con cui i sudditi di Sua Maestà manifestarono la volontà di lasciare l’Unione Europea.
Il “salvo proroghe” è un aspetto importante perché, mentre Boris Johnson, con una legge ad-hoc, ha impegnato il proprio Governo ad evitare qualsiasi estensione, ipotesi percorribile soltanto attraverso una nuova legge promulgabile entro il prossimo 1 luglio, dal lato dell’Unione c’è maggior scetticismo sul fatto che tale lasso di tempo sarà sufficiente.
Ad ogni modo, in questo lasso di tempo poco o nulla cambierà.
Il Regno Unito, infatti, resterà nel mercato unico e nell’unione doganale, continuerà a rispettarne tutte le norme e non avrà potere decisionale sulle politiche intraprese dall’Unione, sostenendone per altro i costi.
Si apre dunque una pagina nuova, tanto per il Regno Unito, il cui Premier Johnson dovrà dimostrare con i fatti che le numerose argomentazioni portate avanti dal suo partito in questi anni circa i benefici di un’uscita dall’UE corrispondono al vero, provando nel contempo, magari, a costruire nuovi accordi ed alleanze internazionali, ridefinendo così la posizione geopolitica del Paese nel mondo, tanto per l’Unione, attesa probabilmente al bivio più importante dalla sua nascita: continuare a tergiversare, con il rischio di dissolversi, o finalmente accelerare il proprio processo di integrazione.
L’uscita del Regno Unito, infatti, per quanto dolorosa, elimina il Paese che più di ogni altro si è opposto ad una più profonda integrazione tra i partner europei, chiedendo esenzioni, nel gergo definite “opt-out”, sui temi considerati più delicati, da Schengen all’adozione della moneta unica.
Bisognerà infine capire se l’addio di Londra offrirà la possibilità ad altri Paesi di prenderne il posto, accrescendone il proprio peso politico nelle decisioni, con il rischio di creare nuove sponde che non sempre hanno fatto bene all’Europa e che, anzi, spesso ne hanno esacerbato le divisioni, o se da ciò scaturirà un ulteriore rafforzamento del legame storico tra Francia e Germania, una via forse meno democratica ma probabilmente più consona a quello che a mio avviso dovrà essere l’obiettivo dell’Unione, costruire un’alternativa seria ed autorevole al duopolio Stati Uniti-Cina.
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