Ma a voi piace questo calcio?

La debacle della Roma di ieri sera in Champions ha dato il via all’ennesima celebrazione del Barcellona da parte dei media, in me, invece, ha sollevato un interrogativo che mi balena nella testa da qualche anno: ma a voi piace davvero questo calcio? A me sinceramente no, e mi pare di capire che questa sensazione sia comune a parecchi appassionati di calcio e di sport in generale, i veri appassionati.

Sarà che da bambino mi piaceva giocare sempre nella squadra più debole, sarà che per carattere tendo a schierarmi con chi è in difficoltà, ma a me l’andazzo che ha preso il calcio attuale non piace per niente. Sempre più, infatti, si osservano partite che finiscono con goleade senza precedenti, e non mi riferisco ai match tra grandi squadre e provinciali, di quelli la storia è piena, ma di partite che sulla carta dovrebbero svolgersi in equilibrio, quelle avvincenti, quelle che più di tutte ci appassionano ma che ultimamente mi annoiano a morte.

A mio avviso le ragioni di quest’appiattimento sono sostanzialmente due. La prima, attiene alla prepotenza con cui il business si è appropriato del calcio; alcune (poche) squadre hanno budget troppo più alti delle altre, i più potenti uomini d’affari hanno fiutato l’enorme bacino d’utenza che coinvolge questo sport e hanno contribuito ad acuito alla sperequazioni tra i club. In alcuni campionati, non vi è nessuna possibilità di concorrere, e se anche in un’annata un club economicamente debole riesce a competere, grazie all’intuizione di un qualche dirigente il quale riesce ad assicurarsi a basse cifre un talento sfuggito alla concorrenza, state pur certi che l’anno successivo quel calciatore si trasferirà nel club del mecenate di turno a suon di milioni di euro. E’ il caso, per esempio, di Bundesliga e Ligue 1, campionati nei quali Bayern Monaco e Paris Saint German passeggiano sugli avversari. In Spagna, invece, è una lotta a due da sempre: il titolo viene conteso ogni anno da Barcellona e Real Madrid, le quali si spariscono da sole più della metà dei proventi derivanti dai diritti televisivi, per molte società, ancora la più alta fonte di guadagno. L’Atletico Madrid due anni fa, o il Borussia Dortmund di qualche anno fa, sono esempi lampanti di squadre costruite con abilità e saccheggiate l’anno successivo. In queste condizioni, capirete, a vincere è sempre il più ricco, raramente il più bravo. Eppoi, si possono battere tutti i record che vogliamo, segnare caterve di gol, riempire di titoloni i giornali, ai miei occhi queste imprese non appaiono davvero tali: i campioni non si affrontano più tra di loro dando vita ad indimenticabili sfide ma indossano tutti la medesima casacca o quella di pochissime squadre. Questo rende monotono persino la più importante competizione a livello di club, la Champions League: i gironi di qualificazione non hanno più ragione di esistere, si sa già chi passerà il turno, persino gli ottavi o i quarti di finale finiscono in goleada, il tutto si restringe ad un paio di partite davvero sentite ed avvincenti.

La seconda ragione, a mio modo di vedere, responsabile di questa piega presa dal calcio, è il cambiamento dei regolamenti maturato in questi anni: si è deciso di virare verso una maggiore spettacolarizzazione, o presunta tale, che è insita nel momento del gol. Questo si esplica sostanzialmente nell’agevolare il compito agli attaccanti, imponendo sanzioni più rigide nei confronti di chi difende: al primo fallo duro scatta il giallo che condiziona chiaramente la gara dei difensori a cui si susseguono sempre più spesso espulsioni per somma di ammonizioni che valutate singolarmente risultano spesso eccesive. Anche i materiali hanno qualche responsabilità: i nuovi palloni hanno reso le traettorie dei tiri sempre meno battezzabili da parte dei portieri che sono esposti a brutte figure con una maggiore frequenza. Per quanto mi riguarda, non è il numero di gol che rende una partita più o meno bella, anzi, mi pare una tesi che sposa il bisogno di avvicinare un numero ancor maggiore di non appassionati a questo sport, soprattutto oltreoceano, anziché un vero tentativo di rendere il calcio migliore.

Per quanto detto, non è un caso se il campionato più avvincente sia la Premier League. Il campionato inglese, infatti, è quello in cui vi è una suddivisione più equa dei proventi e un calcio più maschio anche se, a mio giudizio, anche lì la nuova interpretazione del regolamento spinge alcune partite verso l’oblìo ben prima di quanto sia auspicabile.

Credo fermamente che il calcio debba essere riformato: per quanto riguarda l’ambito business, il presidente dell’Uefa, Michel Platini, con l’idea del Financial Fair Play sembrava voler arrestare tale deriva ma, tale meccanismo è sembrato sin da subito troppo poco stringente e dunque facilmente aggirabile. Sarebbe auspicabile, a mio avviso, ripensare al calcio prendendo spunto dagli sport americani, ricchi come, se non più, del calcio, ma con un sistema di draft e tetti di spesa che pone tutti i partecipanti sullo stesso piano. Ne va del futuro del calcio, altrimenti la disaffezione verso questo sport sarà costante, che emozione darebbe tifare per una squadra che vince sempre o per una che non vince mai?

E a voi? A voi piace questo calcio? Scrivetelo qui se ne avete voglia.

(L-R) Barcelona's Luis Suarez, Neymar and Lionel Messi celebrate a goal against Atletico Madrid during their Spanish First Division soccer match at Camp Nou stadium in Barcelona January 11, 2015. REUTERS/Albert Gea (SPAIN - Tags: SPORT SOCCER) - RTR4KYRV

Suarez, Neymar e Messi festeggiano l’ennesimo successo del Barcellona.

La diatriba sul Canone Rai.

Il Premier Renzi, nel corso di un’intervista concessa domenica scorsa al programma “In ½ ora” di Lucia Annunziata, ha riacceso il dibattito sull’annosa vicenda del Canone Rai.
La proposta del Premier sarebbe quella di inserire tale tassa nella bolletta elettrica, allo scopo di abbassare drasticamente il tasso di evasione (circa il 30%, per distanza la tassa più evasa dagli italiani) e, nel contempo, ridurlo a 100 euro, contro gli attuali 113.50, seguendo così il famoso claim del “Pagare tutti, pagare meno.”
Al di là della fattibilità della proposta, ancora allo studio – non è mia volontà tediarvi con le problematiche ad essa connesse – l’obiettivo di questo articolo è chiarire alcuni aspetti su questa “odiata” tassa, dato che, sia nei talk show televisivi, sia sui social, si ha l’impressione che si faccia molta disinformazione.
Cominciamo col dire che il guardare o meno la Rai, così come il possedere o meno una tv, non sono discriminanti per il pagamento o meno del Canone. Infatti, il regio decreto legge del 21 febbraio 1938, n. 246 art. 1, in materia di “Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni.”, su cui si basa il Canone Rai recita:

“Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento.”

Fate attenzione: non si parla di “Televisione”, nel 1938 neppure esistevano, ma appunto di “apparecchi”, dunque, con le attuali tecnologie, sotto il nome di “apparecchio” finiscono anche i computer, gli smartphone e i tablet, in quanto “atti od adattabili”, ossia, non conta il vedere o meno la TV, né tantomeno i programmi Rai, ciò che conta per essere soggetti di imposta è il possesso di tali apparecchi.

Dunque, fatevene una ragione, il Canone Rai, per come è scritta la legge, va pagato, punto, a meno che non viviate come delle tribù indigene. Poi, certo, si può discutere sull’assurdità di tale articolo, alla “tassa” dovrebbe essere associato un servizio richiesto espressamente dal cittadino – sennò saremmo di fronte ad un’imposta – e l’acquistare per esempio uno smartphone non può voler dire “Ho intenzione di guardare la RAI”, dunque, “Perché dovrei pagare un servizio che magari non intendo utilizzare?”, ma questo è un discorso diverso, da affrontare nell’ottica di una riforma della TV di Stato, non da utilizzare come pretesto per evadere il Fisco.
Tra l’altro, è da sottolineare l’atteggiamento di molti politici e non solo, i quali, per meri scopi di propaganda, sono sempre pronti a schierarsi contro il pagamento di questa o quella tassa, tanto, si sa, il primo partito in Italia è quello degli evasori, se si hanno velleità di governare, bisogna far leva su di loro, gli stessi che magari, dopo decenni di sprechi e privilegi, ora si lamentano delle condizioni economiche del Paese e inveiscono contro l’Esecutivo.
Il cittadino ha il dovere di pagare le tasse e, nello stesso tempo, ha il diritto di pretendere che il denaro pubblico non venga sperperato; per dirne una, quei politici che si lamentano degli sprechi sulla RAI, che, per carità, ci sono eccome, sono gli stessi che reclamano visibilità, nell’ottica della par condicio, nelle tribune elettorali che al massimo guarderanno i loro amici e parenti e che in una TV privata non troverebbero certamente spazio. E’ troppo facile costruire il consenso sparando tra la folla, è invece molto difficile ottenerlo assumendosi le proprie responsabilità.
Si fa poi spesso un gran parlare dei contenuti, tutti a lamentarsi dei palinsesti RAI, quando invece la nostra TV di Stato ha un’offerta molto ampia che si articola su un’infinità di canali TV che vanno dai generalisti (Rai 1, Rai 2 e Rai 3), a quelli meno commerciali quali Rai 4 (Serie tv), Rai 5 (Arte, Musica, Spettacoli), Rai Storia, quelli sportivi (Rai Sport 1 e 2), quelli per bambini (Rai Scuola, Rai Gulp e Rai YoYo), un canale All News (Rai News 24), senza dimenticare il servizio giornalistico offerto a livello regionale (Tg Regione) e quello Parlamentare (Rai Parlamento), oltre che ai vari Rai Movie, Rai Premium che spesso allietano i pomeriggi delle donne di mezza età. A tutto ciò vanno aggiunte 10 stazioni Radio, tra generaliste web radio, e le altre società controllate o collegate a Via Mazzini su cui non intendo dilungarmi.
Per poter beneficiare di tutto ciò lo Stato ci chiede, come detto prima, 113.50 euro all’anno, una cifra che con una Pay TV finiamo per pagare in circa due mesi, dunque, non ci si nasconda dietro frasi del tipo “Il canone è alto” o “Se la Rai offrisse un prodotto migliore ci sarebbe una minore evasione”, la verità è che se l’offerta fosse migliore l’evasore tipo si sentirebbe ancora più furbo ad evaderla. Dunque, criticare il governo perché cerca un espediente per far pagare a tutti una tassa che esiste praticamente da sempre, magari abbassandola ai cittadini che già la pagano, è un atteggiamento malsano, figlio di una politica che ha ben chiaro le caratteristiche dell’elettore mediano.
Infine, mi sento di fare una mia proposta per quanto concerne una possibile riforma della RAI: a mio avviso, la TV di Stato italiana andrebbe scissa in due entità, una, interamente finanziata dal Canone e apolitica, con l’obiettivo di promuovere la cultura nel nostro Paese, dunque informazione, documentari ecc., insomma quello che è ascrivile a “Servizio pubblico”, una seconda, invece, interamente finanziata dalla pubblicità, come del resto le altre tv generaliste, in modo da avere anche una concorrenza più leale nei confronti degli altri operatori, sulla quale trasmettere ciò che il mercato vuole, che siano reality, talent, programmi di cucina o ciò che vi pare, perché, al di là dell’idea che ciascuno di noi ha della RAI, trovo fuori dal mondo dover finanziare con i nostri soldi simili “porcate”.

Il Cavallo Rai nella sede di Viale Mazzini

Keynote Apple 2015: iPhone 6s, iPad Pro e molto altro.

Nella giornata di ieri Apple, nella persona del suo CEO, Tim Cook, ha svelato, nel corso dell’ormai celebre keynote annuale, la nuova linea di prodotti del colosso di Cupertino per quest’anno. Diamo allora uno sguardo a quanto presentato.

Apple Watch.
Niente di realmente nuovo all’orizzonte, comprensibile dato che il prodotto è stato lanciato in tutti i mercati relativamente da poco, se non l’annuncio della data del 16 Settembre in cui verrà reso disponibile l’aggiornamento software denominato watchOS2, che amplierà le possibilità offerte dallo smartwatch di Cupertino attraverso una maggiore apertura agli sviluppatori di terze parti. A questo, vanno aggiunte nuove colorazioni della cassa per la variante “Sport”, disponibile adesso anche in rosa ed oro rosa, e dei cinturini, in particolare una collaborazione con Hermes per la realizzazione di alcuni cinturini in pelle. Presente anche la nuova colorazione rossa, la cosiddetta Product (RED), già conosciuta per altri prodotti, iPod su tutti, i cui ricavi finanzieranno la lotta all’AIDS. Curioso che Cook, a differenza che in passato, non abbia posto l’accento sui dati di vendita, “nascondendosi” dietro ad un tasso del 97% di clienti soddisfatti, appare ormai chiaro che i dati di vendita, per quanto positivi, siano lontani dalle stime trionfalistiche del lancio.
La mia idea su questo prodotto non è molto cambiata: esteticamente bruttino, mancano ancora killer applications in grado di spingere all’acquisto. Va però detto che alcuni passi avanti sono stati fatti, si incominciano a intravedere delle potenzialità date dal maggior supporto di terze parti. Di certo, però, per avere un prodotto “completo”, occorrerà aspettare almeno la seconda generazione.

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Apple TV.
Onestamente non ho mai trovato particolarmente attraente l’Apple TV, anzi, l’ho sempre ritenuto un prodotto quasi inutile al di fuori degli Stati Uniti, castrato dall’assenza di molti servizi offerti oltreoceano. Certo, con il jailbreak poteva avere un senso, ma questo è un altro discorso, anche perché ci sarebbero prodotti ben più flessibili ed economici di quello made in Cupertino. L’unica (vera) utilità nasceva dal mancato supporto del protocollo dlna dei dispositivi della mela a cui essa poteva sopperire. In questo nuova release si è posto l’accento sulle app e sui giochi, fisicamente non presenta grosse novità se non per un nuovo telecomando touch in vetro. Apple, come al solito, ha parlato di rivoluzione, a me non sembra, anche se è probabile che se ben confezionata, data la presenza di uno store apposito e del supporto ai controller, possa raccogliere l’eredità di Wii, ossia la fetta di videogiocatori casual che non intende acquistare PS4 o Xbox One. Inoltre, l’auspicio è che essa dia maggior slancio ai produttori di tv di realizzare interfacce più moderne, processo già in essere con Sony e Phillips che hanno scelto Android, Samsung il suo Tizen, LG Web OS, acquistato da HP qualche anno fa, mentre Panasonic ha optato per Firefox OS. Prezzi in salita, si parte da 149$ per la versione da 32gb che diventano 199 per quella da 64, prevedibile, la vecchia Apple TV ha poco a che vedere con la nuova, che resta però in vendita a 69 $.
Resto scettico per il mancato supporto al 4K, nel 2015 per un dispositivo del genere dovrebbe essere la norma, sicuramente però la mole di memoria messa a disposizione avrebbe dovuto essere nettamente superiore, con conseguente aumento del prezzo finale, senza contare che i contenuti attualmente a disposizione per questa risoluzione siano ancora modesti. Bene invece l’integrazione, anche per questa piattaforma, di Siri, l’assistente vocale che ormai tutti avrete avuto modo di conoscere su iPhone.

iPad.
Mentre per iPad Air 2 non è stato previsto al momento un successore, per quanto concerne iPad Mini è stata annunciata la versione 4, la quale porta in dote per il piccolo tablet un boost prestazionale importante che lo avvicina al fratello maggiore. Entrambi saranno presto equipaggiati da iOS9 che porterà tali dispositivi a livelli di produttività più vicini a quelli offerti dalla concorrenza. Prezzo di apertura altino, 399 euro per la versione 16gb Wi-fi only, ma a queste politiche di prezzo abbiamo ormai fatto le ossa.
E’ innegabile che il settore tablet sia in difficoltà, soppiantato delle soluzioni ibride che uniscono i vantaggi di tablet e portatili, su tutte Surface Pro 3, l’impressione è che Apple abbia voluto, per quest’anno, giocare in difesa.
Non avendo ancora implementato il supporto al touch nel suo sistema operativo desktop, a proposito, la prossima release di OSX, denominata “El Capitan”, verrà lanciato gratis il prossimo 30 Settembre, Apple è corsa ai ripari con un nuovo dispositivo denominato iPad Pro. Il prodotto appare bello, solido, sottile (0.68 cm di spessore) e con un display 2737 x 2048 pixel da 12.9” che dalle prime immagini appare eccellente. Inoltre, Apple, ben conscia dei limiti di produttività dei propri tablet, ha coinvolto software house del calibro di Adobe e Microsoft nella realizzazione di app ad-hoc, allo scopo di rendere più appetibile la sua nuova creazione. Avremo dunque a disposizione delle versioni di Photoshop e Office appositamente concepite per questa soluzione. Sì, avete letto bene, persino gli (ex) arcirivali di Microsoft, con un loro uomo salito sul palco per presentare una versione ad-hoc di Office, almeno all’apparenza davvero ben realizzata. Si tratta a mio avviso di una resa da parte di Apple circa l’inconsistenza della sua suite iWork. A Cupertino si sono resi conto che da quando Microsoft decise alcuni mesi fa di aprire la propria suite Office alle altre piattaforme, essa non si è mai smossa dalla top ten delle app più scaricate. Veniamo però alle dote dolenti: il prodotto verrà lanciato nella sua versione base, da soli 32gb di memoria, non espandibili, a 799 dollari. Appare dunque d’obbligo virare verso la versione da 128gb che sarà venduta rispettivamente a 949 e 1079 dollari per le varianti Wi-fi only e Wi-fi + 4G. Osservando i prezzi e le caratteristiche hardware, ah, dimenticavo, confermati 4gb di memoria RAM, verrebbe da dire “Si può fare”, se non fosse che, messo da parte l’entusiasmo iniziale, ci si accorge si star acquistando un finto portatile, che con Surface Pro 3 ha in comune il solo form factor. iPad Pro non è un portatile travestito all’occorrenza da tablet come Surface Pro 3, ma un tablet travestito da portatile. Esso infatti sarà equipaggiato con iOS9, quindi non un sistema operativo desktop come nel caso di Windows 10 per il Pro 3, con tutte le limitazioni che esso comporta. Non va inoltre dimenticato che iPad Pro non dispone di una comunissima porta usb, non dispone di un ingresso micro sd per espandere la memoria, non supporta il protocollo dlna, insomma, è un iPad enorme che a sua volta è un iPhone enorme. Non basta, la tastiera è opzionale, come nel caso di Pro 3 ma, a differenza della controparte Microsoft, essa non è venduta in bundle con la stylus, che Apple ha ribattezzato “Pencil”. Bisognerà quindi aggiungere, rispettivamente, ulteriori 169 e 99 euro per ottenere tali accessori. Il costo finale dunque lievita ulteriormente e, per quanto questo tablet possa essere ben realizzato, superare ampiamente la soglia psicologica dei mille euro appare francamente una pazzia. A questo prezzo, la concorrenza, nel caso volessimo optare per un dispositivo ibrido, offre di molto meglio a prezzi spesso inferiori, mentre, nel caso volessimo restare in ambito laptop, persino restando in casa Apple, si potrebbe optare per un ben più utile e flessibile Macbook, qualsiasi esso scegliate. Inutile dire che sarò molto curioso di vedere la risposta del mercato. Disponibilità per Novembre.

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iPhone.
Eccoci finalmente giunti all’ospite clou della serata, il dispositivo che nel 2007 rivoluzionò il settore smartphone. Di anni ne sono passati tanti, ad ogni release Apple ha affinato il proprio prodotto ottenendo costantemente un successo clamoroso, pensate che iPhone 6, soprattutto, grazie allo sbarco di Apple in Cina, è stato lo smartphone di maggior successo della mela. L’attesa dunque era tanta anche se le numerose indiscrezioni filtrate nei passati giorni, in aggiunta al fatto che venisse presentata una versione “S”, hanno portato a ben poche sorprese.
iPhone 6s e 6s Plus, nonostante i miglioramenti annunciati dal punto di vista dei materiali, si è parlato di un dispositivo più solido e resistente che dovrebbe mettere fine al famoso bend-gate, appaiono esteticamente del tutto simili ai predecessori. Alle classiche colorazioni già viste su iPhone 6 ne è stata aggiunta una terza, un rosa che dovrebbe strizzare l’occhio alle ragazze. Dal punto di vista hardware i nuovi iPhone puntano su un nuovo modulo fotografico da 12 Megapixel che va a sostituire quello da 8 che su iPhone 6 dava per la verità già ottimi risultati. In ambito fotografico sono state mostrate alcune chicche, una di esse denominata “Live Photo”, che faranno gridare al miracolo solo i fedelissimi Apple, dato che come spesso accade, sono già presenti sulla concorrenza, benché meno pubblicizzate. Arriva finalmente anche il supporto ad i video in 4K anche se, per poterne beneficiare appieno, occorrerà evitare la versione da 16gb, tristemente ancora presente a listino. Non sembrano esserci novità riguardo la risoluzione del display, ancora 720p per iPhone 6s e Full-HD per 6s Plus, quindi distanti dal 2K ormai divenuto la prassi nei top di gamma Android, senza contare il display 4K del nuovo Sony Xperia Z5 Premium. Come al solito, il nuovo iPhone avrà un nuovo processore ancora a 64 bit, denominato A9 e assistito dal coprocessore M9 per la parte fitness, Apple parla di un aumento prestazionale del 70% riguardo la CPU e del 90% per quanto concerne la GPU, numeri che fanno tanta scena ma che lasciano il tempo che trovano, è chiaro che il tutto girerà ottimamente. Piuttosto, pare che i nuovi iPhone montino finalmente 2gb di RAM, al fine di poter beneficiare, si spera, di un vero multitasking. Fa discutere l’indiscrezione secondo la quale la batteria di entrambe le versioni sia leggermente più piccola, già la precedente generazione di iPhone non brillava certo in autonomia, si spera (almeno) in un ulteriore passo in avanti sul fronte dell’ottimizzazione, staremo a vedere. Suscita invece curiosità l’implementazione del cosiddetto “3D Touch”, derivato da Apple Watch, ossia di un touch sensibile alla pressione esercitata, chiaramente spetterà agli sviluppatori rendere quest’idea interessante e non un semplice orpello. Anche il sensore di impronte, il cosiddetto “Touch ID” pare sia migliorato, va detto che già funzionava molto bene, vabbè, come ad ogni presentazione Apple ci racconta che tutto è migliorato a livelli inimmaginabili, quindi non mi dilungherò ulteriormente.
I preordini cominceranno il 12 Settembre mentre la commercializzazione per i primi Paesi avverrà il 25 Settembre. Per l’Italia, non bisognerà ancora attendere qualche mese, non si ha al momento una data ufficiale. Capitolo prezzi: essi dovrebbero restare in linea con quelli dello scorso anno, anche se per l’Italia si vocifera un aumento, non confermato, di 30 euro. Dando uno sguardo a quelli francesi occorreranno 749 euro per la versione da 16gb, 859 per quella da 64gb e 969 euro per quella da 128gb. Per iPhone 6s Plus, invece, occorreranno 100 euro in più per ciascuna versione, quindi 859 per la variante da 16gb, 969 per quella da 64gb e 1079 euro per quella da 128gb. Infine, i vecchi iPhone 6 e 6 Plus, sempre tenendo a riferimento lo store francese, resteranno in commercio, fatta eccezione delle versioni da 128gb e della colorazione oro, a 669 e 779 per le versioni da 16 e 64gb di iPhone 6, e 779 e 889 euro di iPhone 6 Plus.
Come avrete notato, tali prezzi sono inferiori di 30 euro rispetto agli attuali prezzi italiani, per tale motivo, come detto, si vocifera una eguale differenza per i nuovi 6s e 6s Plus per il nostro mercato.

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Infine, un giudizio complessivo assolutamente personale: per quanto mi riguarda, Apple ha esaurito da tempo la sua spinta innovatrice, da appassionato di hi-tech raramente i suoi prodotti solleticano la mia attenzione, va detto però che i prodotti continuano ad essere molto buoni e di facile utilizzo ma, nel contempo, complice anche l’abilità del management di averli resi incredibilmente desiderabili, tremendamente sovrapprezzati. E’ innegabile, inoltre, che il loro agire sia da impulso all’intero mercato, non è un mistero che l’azienda di Cupertino faccia da traino all’intero settore, capita spesso, infatti, che un prodotto simile a quanto offerto da Apple, ottenga il successo meritato soltanto dopo che la controparte con una mela appiccicata dietro venga lanciato. È senz’altro frustrante per gli altri produttori ma rappresenta il frutto dell’incredibile lavoro di marketing portato avanti da Steve Jobs nel corso della sua esistenza. Insomma, Apple continua a campare sugli allori del proprio guru e appare quasi intimorita dal percorrere nuove strade, intanto, però il mercato continua a dar loro ragione, fino a quando?

Massa Lubrense: esito elezioni comunali 2015

Il 31 Maggio, i cittadini di Massa Lubrense, oltre che per quanto concerne il rinnovo del consiglio della regione Campania, sono stati chiamati al voto anche per il rinnovo del consiglio comunale.
La lista “Patto con la città” ed il suo candidato sindaco, Lorenzo Balducelli, hanno avuto la meglio sull’Amministrazione uscente della lista “Insieme per Massa Lubrense” che da 10 anni aveva governato il Comune campano ma che per questa tornata elettorale, a seguito dell’esaurimento dei mandati del sindaco uscente, Leone Gargiulo, aveva visto candidato al suo posto l’Assessore al Bilancio uscente, Lello Staiano.
Alla lista vincitrice di questo acceso confronto elettorale, che ha visto i candidati confrontarsi aspramente per oltre un mese in molte delle 17 frazioni che compongono uno dei paradisi della penisola sorrentina, sono andati 5320 voti (58,53% delle preferenze) contro le 3769 preferenze accordate alla lista uscente (41,47%). Una vittoria schiacciante, di proporzioni inaspettate a cui sono seguiti i caroselli dei cittadini lungo le strade del Comune, culminate con il bagno di folla in Piazza Vescovado e le prime parole di un emozionato Lorenzo Balducelli, nuovo primo cittadino di Massa Lubrense.

Alla nuova Amministrazione vanno i miei più sinceri auguri con l’auspicio che Massa Lubrense possa finalmente spiccare il volo.

Di seguito, cliccando sul link potrete consultare i risultati definitivi della consultazione elettorale con i nuovi eletti di maggioranza ed opposizione evidenziati in verde:

Esito elezioni comunali 2015 Massa Lubrense.

Qui, invece, i risultati parziali per ciascuno dei 13 seggi elettorali:

Risultati scrutinio per seggio.

Infine, vi propongo il primo discorso del neo sindaco:

Primo discorso.

 

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Nozze gay: il mio punto di vista.

Continua a far discutere l’esito del referendum svoltosi in Irlanda sulle nozze gay che ha visto prevalere i “sì” con il 62% delle preferenze ed io non riesco ancora a comprenderne il motivo. Non riesco a comprendere come il riconoscimento di un diritto altrui possa ledere in qualche modo chi non ne beneficia, mi spiego meglio.

Esiste una netta distinzione tra il matrimonio cattolico, ossia quello celebrato in Chiesa, e quello dello Stato, e non vedo perché essi non possano basarsi su presupposti diversi. Viviamo in un mondo libero, in cui possiamo tranquillamente scegliere o l’uno o l’altro o, come nella maggior parte dei casi, entrambi. Non capisco, quindi, come un cambiamento nelle modalità con cui è possibile celebrare il matrimonio in uno Stato possa imbarazzare o indignare chi professa la fede cattolica. Non capisco dunque alcune dichiarazioni paradossali di alcuni ecclesiastici come, nel contempo, non capisco questo astio generalizzato verso la Chiesa da chi non crede o da chi ha, comunque, una visione diversa di Dio. L’impressione è che si dia valenza alla libertà di espressione soltanto quando chi è parte in causa rappresenta la minoranza, nel momento in cui tale situazione si rovescia, la persona più liberale si trasforma all’improvviso nel più crudele dei tiranni.

Ribadisco, i due matrimoni si basano su presupposti diversi: quello cattolico, seppur la prassi ci abbia abituato diversamente, ha alla base la benedizione di un’unione definitiva di due persone allo scopo di procreare, dunque, per forza di cose, esclude la possibilità di avere una coppia formata da due individui dello stesso sesso; quello dello Stato, invece, concerne la “semplice” unione di due persone attraverso la quale si hanno tutta una serie di diritti che non hanno nulla a che vedere con la procreazione, dunque, non vedo perché si debba negare a priori questa possibilità.

A mio avviso, quindi, si tenta di mescolare due atti che in comune hanno ben poco. Se credi in Dio accetti ciò che è scritto nella Bibbia, se non ci credi, sei liberissimo di contrarre matrimonio con chi ti pare. Mi sembra una polemica sterile, come quella degli atei battezzati che vogliono farsi sbattezzare: se non credi nel Sacramento del Battesimo si è trattato di un normalissimo bagnetto, perché allarmarsi, gli atei non si lavano?

Io credo sia sacrosanto riconoscere legalmente l’amore di due persone dello stesso sesso, non tanto per l’amore in sé, che non ha nulla a che vedere con quattro scartoffie, e che è a mio avviso qualcosa di ben più alto, quanto per la possibilità da parte loro di beneficiare di tutta una serie di diritti di natura economico-sociale altrimenti negati. Non è giusto, per esempio, che il proprio partner omosessuale non entri a far parte della successione legittima in quanto legalmente non sposato con il defunto (de cuius), o che, nel caso di ricovero, egli non possa beneficiare dello status di parente in ospedale. Questi sono soltanto due semplici esempi, se ne potrebbero fare tanti altri.

Credo, inoltre, che questa avversione alla possibilità di contrarre matrimonio non derivi dal non essere d’accordo al riconoscimento di tali diritti, che sono sacrosanti e su cui neppure dovrebbe esistere discussione, quanto piuttosto all’immagine che i media hanno costantemente fornito degli omosessuali, ossia quella di persone di dubbio gusto conciate a mo’ di sfilata di Carnevale; ritengo sia questo il vero nemico da sconfiggere, la strada da percorrere verso una totale e reale accettazione.

Riguardo invece l’adozione nutro più di qualche riserva: da un lato credo che l’amore sia amore in tutte le sue forme, dall’altro, però, la natura ci dice che un bambino nasce dall’unione di due persone di sesso diverso, dunque non so fino a che punto sia giusto permettere l’adozione, soprattutto nella realtà in cui viviamo in cui se sei omosessuale sei ancora considerato diverso, con il rischio di serie ripercussioni sull’adottato.

Cominciamo dunque a riconoscere un diritto sacrosanto che è quello di contrarre matrimonio, per il resto ci sarà tempo e modo per discuterne.

 

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Real vs Juve: le mie considerazioni.

Sarebbe facile, anzi, mica tanto, vista la mia avversione verso la Juventus, incensare l’impresa compiuta ieri sera dagli uomini di Max Allegri al Santiago Bernabeu. Aldilà della mia diversa fede calcistica, quando parlo di calcio, mi piace affrontare l’argomento in un modo che esula dal tifo, in quanto prima ancora che tifoso del Milan, mi ritengo un appassionato di calcio.

Premesso ciò, credo che ci siano una serie di considerazioni da fare.

La prima, a mio avviso, ha a che vedere con i diversi stimoli che le due squadre avevano, soprattutto per quanto concerne la gara di andata. Sembra assurdo parlare di mancanza di stimoli al cospetto di una semifinale di Champions, se però osserviamo i dati o disponiamo di una discreta memoria, scopriamo che il Real era alla quinta semifinale consecutiva e veniva dallo storico successo della Décima appena un anno fa. Persino i tifosi delle merengues hanno mostrato un interesse tiepido con la Casa Blanca costretta a restituire circa 1200 tagliandi per il match d’andata allo Juventus Stadium.

Al contrario la Juve non disputava una semifinale dal 12 anni, occasione in cui la squadra allora allenata da Marcello Lippi sfiorò il successo battuta ai rigori dal Milan. Se invece guardiamo all’ultima vittoria, bisogna tornare indietro alla stagione 95/96, 19 anni fa, in quell’occasione i rigori sorrisero ai bianconeri che si imposero nella finale di Roma sull’Ajax.

Capirete che sul piano degli stimoli non c’era partita e la disponibilità al sacrificio, a certi livelli conta, eccome se conta.

Una seconda considerazione va fatta dal punto di vista tattico. In molti hanno denunciato un Real sfilacciato dimostrando di seguire poco il calcio internazionale; si sa, in questo noi italiani siamo molto autoreferenziali, ci sono ancora milioni di persone in questo Paese che ritengono il nostro campionato il più duro e persino il più difficile e bello. Dico questo perché Il Real ha dovuto rinunciare per gran parte di questa stagione, compresa la doppia sfida alla Juve, a Luka Modrić, vero metronomo del centrocampo madridista e collante delle due fasi. Senza il suo ordine e le sue geometrie, il Real è apparso molto slegato tra i reparti, poco rapido nel rintanarsi quando c’era da difendere e meno capace del solito nel rifornire in velocità, e con giusti palloni, i fuoriclasse assoluti che ha davanti. Certo, quando si ha la disponibilità economica  e la rosa del Real sembrerebbe bislacco nascondere un insuccesso dietro un’assenza, va però ricordato che in una squadra strapiena di talento ma probabilmente assemblata male, l’assenza di un cucitore di gioco, un uomo che tenga la squadra più corta e che faccia da collante tra difesa ed attacco è ben più importante dell’assenza di qualsiasi altro dei talenti in campo, CR7 escluso.

Sicuramente poi alcune scelte di Carlo Ancelotti non hanno convinto, su tutte quella di schierare Sergio Ramos nella gara d’andata in mezzo al campo. Questo, a mio avviso, è sintomo di una  divergenza di vedute tra Florentino Perez ed il mister italiano. L’impressione è che Perez abbia due chiodi fissi: quello di prendere il campione di turno ogni anno, infischiandosene delle reali esigenze della squadra, e  quello di rendere il Real più spagnolo, seguendo la strada tracciata dal Barcellona.

Il primo capriccio ha portato agli arrivi negli ultimi anni di Gareth Bale, sacrificando Mesuth Özil, finito all’Arsenal, e quello di James Rodriguez che ha preso il posto di Ángel Di María, accasatosi al Manchester United. Riguardo Bale, l’impressione è che giochi troppo avanti e che ciò gli impedisca di sprigionare la sua immensa progressione, insomma, è come se gli avessero tarpato le ali. Riguardo James Rodriguez, invece, la mia impressione è che il suo modo di far calcio cocci con quello di Cristiano Ronaldo, leader tecnico e carismatico della squadra: il colombiano, talento eccellente, è un 10 vecchia scuola, ossia tanta tecnica ma scarsa progressione, a mio modo di vedere Di Maria era un calciatore più adatto per questo Real, persino quando veniva schierato a centrocampo. Diciamo che è un errore che Florentino Perez commise anche all’epoca dei galácticos, dove si rifiutava categoricamente di prendere difensori di livello preferendogli l’ennesimo talento da schierare sulla trequarti. Per gli esteti del calcio, così così per gli uffici marketing, le scelte di Perez fanno sognare, peccato si rischi di tanto in tanto di svegliarsi tutti sudati in preda al panico. Fanno sorridere poi i rimpianti della stampa spagnola su Morata, il talento spagnolo in questo Real non giocherebbe mai, così come non giocherebbe praticamente nessuno dell’attuale rosa della Juve, il problema non sono certamente il livello dei calciatori in rosa.

Il secondo capriccio di Perez, come dicevo, attiene al rendere più spagnolo il suo Real. Florentino dovrebbe capire che i veri artefici dei successi della Spagna campione del mondo e d’Europa o hanno la maglia blaugrana, o sono ad oggi copie sbiadite di quello che furono. Mi riferisco essenzialmente a Casillas, anche ieri non impeccabile nell’occasione del gol di Morata e protagonista di una stagione tutt’altro che memorabile. Capisco la riconoscenza, ma una squadra come il Real non può permettersi un portiere del genere, non scordiamo che lo stesso portiere 12 mesi fa, con una sua papera, stava per regalare la coppa agli acerrimi nemici dell’Atletico. Inutile dire, poi, che l’aver regalato Diego Lopez al Milan, anch’egli spagnolo ma poco in vista sia dai media che dagli addetti ai lavori, sia stato un errore da dilettante, soprattutto se per sostituirlo è arrivato Keylor Navas, discreto portiere contraddistintosi al mondiale per parate più figlie della fortuna che del talento. Il sogno di rendere più spagnolo il Real porta in dote anche calciatori come Carvajal, resosi protagonista all’andata dello stupido fallo da rigore su Tevez, prodotto della Cantera del Real, il Real Madrid Castilla, che anche il prossimo anno giocherà in Segunda B, ossia l’equivalente della nostra Serie C italiana, nonostante investimenti a sei zeri, o come Illarramendi, prelevato dalla Real Sociedad due estati fa per 39 milioni di euro, mai giustificati dalle sue prestazioni in campo, al punto da preferirgli un difensore come Sergio Ramos nel suo ruolo naturale.

In questi errori di valutazione credo abbia influito il profilo aziendalista di Ancelotti, uno che non si è mai fatto comprare i calciatori dal presidente di turno puntando i piedi, insomma, non un Mourinho o un Mancini. Ricordo che alla prima stagione al Chelsea, dichiarò che non gli serviva nessuno, la squadra era buona così, suscitando lo stupore dei media e di Abramovich; quella squadra, in Inghilterra vinse il double, tanto per ricordarlo.

Infine, non va a mio avviso trascurato il fato. Odio parlare di cabala, l’esoterismo mi affascina ma rapportato al calcio quasi mi infastidisce, preferisco dare una qualche logicità alle cose anche se la notte di Istanbul mi ha insegnato, ahimè, che non a tutto può essere data una spiegazione. Ieri si è parlato di una Juve che se l’è giocata alla pari e che ha avuto anche grandi chance di vincere. Riguardando la partita però si può evincere che nel primo tempo il Real ha avuto sei palle gol nitide contro le zero della Juve e che nel secondo tempo, le due uniche e vere occasioni della Juve, quelle di Marchisio e Pogba, alternate alle numerose opportunità delle merengues, sono arrivate dopo il pareggio bianconero, viziato, tra l’altro, da un fallo di Chiellini su Casillas, ossia quando il Real si è lanciato disperatamente in avanti per portare la partita almeno ai supplementari. Va dato atto alla Juve di essersi difesa bene, ma il Real deve prima di tutto rimproverarsi delle tante occasioni sciupate. Continuando con la cabala, è probabile che il Real abbia pagato dazio dopo il rocambolesco finale di partita della finale dello scorso anno, scusate il gioco di parole, che gli permise di conquistare la sua decima Coppa Campioni della propria storia.

L’arbitraggio, infine, è stato di buon livello, manca probabilmente un secondo rigore al Real per fallo sul Chicharito Hernández ma nel complesso la prestazione offerta da Eriksson è stata senza dubbio superiore a quanto mostrato da Atkinson, resosi protagonista all’andata di diverse interpretazioni contestabili da ambo le parti.

Appuntamento allora a Berlino per 6 Giugno, dove il Barcellona di Messi, Suarez e Neymar sfiderà la Juve in un match che appare, anche stavolta, senza storia. Alla squadra di Allegri l’onere e l’onore di dimostrare di non essere arrivati lì quasi per caso, grazie ad un’urna mai così utilizzata (In passato i sorteggi erano stati effettuati soltanto per gli ottavi ed i quarti) nel corso di un’edizione della Champions.

 

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Due foto emblematiche della notte di Madrid: in alto la delusione di Cristiano Ronaldo, in basso la corsa della Juve sotto la curva per ringraziare i tifosi.