Quello tra Svizzera e finanza è un legame indissolubile. Impossibile pensare alla repubblica elvetica senza far riferimento al ruolo di primo piano che i suoi istituti di credito hanno saputo recitare da oltre un secolo.
Affidabilità, credibilità e discrezione sono da sempre i tratti distintivi del modo di fare banca degli svizzeri, e la notizia del tracollo di Credit Suisse, le cui attività, combinate con quelle di UBS – rispettivamente seconda e prima banca del Paese – rappresentano più del doppio del PIL del Paese, non può lasciare indifferenti.
Ben 166 anni di storia, in cui Credit Suisse ha finanziato le ferrovie alpine, lo sviluppo della Silicon Valley, curato le fortune dei reali arabi e degli oligarchi russi, spazzati via in una delle settimane più incredibili della storia della finanza mondiale.
Una storia che parrebbe essere legata a doppio filo con la caduta di Silicon Valley Bank, la banca regionale statunitense specializzata nel venture capital fallita dieci giorni fa, ma che in realtà ha radici ben più profonde.
Sì, perché senza i numerosi scandali che nel tempo hanno minato la sua credibilità, dalla condanna penale per aver consentito a spacciatori di droga di riciclare denaro in Bulgaria, il coinvolgimento in un caso di corruzione in Mozambico, uno scandalo di spionaggio che ha coinvolto un ex dipendente e un dirigente, la caduta in disgrazia del finanziere Lex Greensill e la fallita società di investimento con sede a New York Archegos Capital Management, nonché una massiccia fuga di dati sui clienti ai media, Credit Suisse, considerata tra le 30 banche di importanza sistemica nel mondo, una delle cosiddette “Too big, to fail”, non si sarebbe ritrovata nella condizione di essere fagocitata a prezzo di saldo dalla sua rivale di sempre, UBS.
Insomma, il clima di sfiducia verso l’Istituto aleggiava da tempo – io stesso la scorsa estate avevo in mente di scrivere un articolo sul tema – il fallimento di SVB ha solo accelerato il processo.
Il punto di non ritorno è probabilmente coinciso con una serie di interviste, tra cui quelle concesse alla Reuters e a Bloomberg, nelle quali Ammar Al Khudairy, Presidente della Saudi National Bank, la banca azionista di maggioranza di Credit Suisse, escludeva qualsiasi nuovo aumento di capitale.
E se l’azionista di maggioranza rispondeva picche alle richieste di liquidità dell’Istituto, figuriamoci i correntisti, intenti a trasferire il proprio denaro altrove, tanto da costringere la Swiss National Bank (SNB), la Banca Centrale svizzera, ad un intervento di sostegno da 54 miliardi di dollari, poi rivelatosi insoddisfacente, nel cuore della notte di giovedì.
Con il settore bancario dell’intero Paese a rischio, il credit default swap (CDS) su Credit Suisse è balzato in poche ore da 836 punti ad oltre 3.000, le autorità svizzere si sono ritrovate costrette a spingere UBS ad immolarsi nel salvataggio, una sorta un bail-out mascherato.
Alla fine, dopo fitti colloqui durati per tutto il fine settimana, UBS ha accettato nella serata di domenica di acquistare Credit Suisse.
Di seguito i punti chiave dell’operazione: (Fonte: Bloomberg)
- UBS verserà circa 3 miliardi di franchi svizzeri (3,25 miliardi di dollari) in azioni a fronte di un valore di Credit Suisse che solo venerdì sera era di 7,4 miliardi di franchi svizzeri (8 miliardi di $).
- SNB mette a disposizione una linea di liquidità di 100 miliardi di franchi.
- Il governo svizzero concede una garanzia di 9 miliardi di franchi per potenziali perdite su alcuni asset del Credit Suisse.
- Il regolatore Finma ha dichiarato che circa 16 miliardi di franchi (17,3 miliardi di $) di obbligazioni subordinate perpetue (CoCo Bond) del Credit Suisse diventeranno carta straccia.
- UBS ridurrà il ramo di investment banking di Credit Suisse.
Notate qualcosa di particolare? Sì, proprio così, si è scelto di salvaguardare gli azionisti rispetto agli obbligazionisti, una decisione che crea un precedente importante, ossia che le obbligazioni sono più rischiose delle azioni, assolutamente agli antipodi con quanto osservato finora e che tanto la Fed, quanto BCE e BoE, hanno già dichiarato di non voler seguire.
E pensare che Credit Suisse fu tra i pochi Istituti di credito ad essere sopravvissuto senza un piano di salvataggio alla Crisi del 2008, allora deteneva oltre $ 1 trilione di attività, diventati, a seguito degli scandali su citati, poco più della metà.
Si discute in queste ore del contraccolpo che questo salvataggio avrà sulla credibilità del sistema finanziario del Paese, la cui ricchezza deriva in gran parte dal settore finanziario. In pochi, invece, stanno analizzando l’effetto che questo salvataggio, così come quelli avvenuti oltre oceano, avrà sulle future scelte dei manager bancari in termini di moral hazard: se Credit Suisse era troppo grande per poter fallire, figuriamoci il gigante che si appresta a nascere dall’unione con UBS.
Che i banchieri centrali si sentano responsabili per il ritmo estenuante con cui hanno deciso nell’ultimo anno di aumentare i tassi? Ad ogni modo, una rilettura del Premio Nobel Kenneth Arrow agevolerebbe.
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