Banche centrali vs inflazione: a che punto siamo?

da | Nov 3, 2022 | Politica economica | 0 commenti

Da sinistra a destra, Jerome Powell, Christine Lagarde, Andrew Bailey e Haruhiko Kuroda.

Sono state due settimane piuttosto dense per la politica monetaria; purtroppo, a causa di impegni vari, non sono riuscito a dare una copertura adeguata alle varie riunioni susseguitesi come sono solito fare.

Per tali ragioni, questo articolo vuole essere una sorta di panoramica di quanto accaduto, in modo che chi mi legge – colgo l’occasione per ringraziarlo – possa in un certo senso mettersi in pari.

Non perdiamo altro tempo, cominciamo.

BCE e Fed, il grosso del lavoro è stato fatto.

La sensazione che ho avuto dalle riunioni della Banca Centrale Europea, la Federal Reserve statunitense e Bank of England – per Bank of Japan andrà fatto un discorso a parte – è che la lotta all’inflazione abbia raggiunto il culmine.

Ciò non vuol dire che all’orizzonte ci siano allentamenti monetari – attenzione – ma che le prossime, probabili, strette saranno di entità inferiore rispetto a quanto osservato sino ad oggi.

Insomma, i cosiddetti rialzi “jumbo”, da 75 punti base, utili alla narrazione, piuttosto cara a Powell, del “Meglio fare di più che non fare abbastanza” dovrebbero lasciare spazio a movimenti meno bruschi.

Quello annunciato da Powell ieri, il quarto consecutivo, che ha portato il benchmark della Fed all’intervallo 3.75%-4%, da quasi zero di marzo, e quello annunciato lo scorso giovedì da Lagarde, che ha portato l’equivalente della BCE al 1.5%, un livello che non si vedeva dal 2009, ossia prima della crisi del debito sovrano, dovrebbero essere gli ultimi. (Per completezza di informazione va aggiunto che la BCE ha annunciato anche la modifica delle condizioni applicate alla terza serie di operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (Tltro III), uno strumento, lanciato la prima volta nel 2014 e tornato in auge durante la pandemia, avente la finalità di incoraggiare le banche a prestare denaro a famiglie e imprese, non più coerente con l’attuale contesto macroeconomico.)

Questo perché, se è vero che l’inflazione doveva essere affrontata con fermezza, è vero anche che il percorso verso un atterraggio economico morbido si sta restringendo sempre di più, e dunque, se c’è una possibilità seppur remota, di scongiurare una recessione è giusto tenerla sul tavolo.

Del resto, nell’analisi bisogna tener conto dei ritardi con cui le decisioni di politica monetaria influenzano l’attività economica.

Nel caso degli Stati Uniti, infine, è chiaro che tale svolta, per il momento solo a parole – come ama ormai dire Christine Lagarde, Presidente della BCE, “Le future decisioni saranno dettate dai dati”, rinunciando così, forse troppo a cuor leggero, all’importante strumento della forward guidance – sia stata influenzata dalle elezioni di midterm, in programma il prossimo 8 novembre, dove il Presidente Joe Biden, anzi, direi il mondo intero, si gioca molto.

Dico il mondo intero perché se il malcontento riguardo l’alta inflazione ed i timori di un aumento del tasso di disoccupazione, quest’ultima per ora sotto controllo, dovessero portare ad un’affermazione dei repubblicani, potrebbero esserci degli effetti all’intransigenza con cui l’amministrazione Biden sta operando sul fronte ucraino.

A quest’analisi va però aggiunto che, a differenza della BCE, il mandato della Fed prevede che tanto il target inflazionistico, quanto quello relativo alla “piena occupazione”, abbiano uguale peso nelle scelte dell’Istituzione, dunque, l’annuncio di Powell di rendere più “digeribili” le prossime mosse non sono da intendersi come un aiuto a chi (Biden) circa un anno fa l’ha confermato alla guida della massima autorità di politica monetaria degli Stati Uniti.

BoE, qualche ulteriore grattacapo.

Discorso un po’ diverso per BoE dove, la crisi scatenata dal maxi taglio delle tasse annunciato dall’ex Premier Liz Truss, silurata dai mercati in soli 44 giorni, potrebbe riservare qualche ulteriore sorpresa. Intanto, pochi minuti fa, anche Andrew Bailey ha annunciato una stretta di 75 punti base, la quale porta il livello dei tassi al 3%, il più alto dal 2008 e il più ampio aumento singolo dal 1989. Vedremo poi come la situazione si svilupperà.

BoE, infatti, è stata anche la prima tra le grandi banche centrali ad avviare un programma di Quantitative Tightening, con la sua prima vendita di attività di lungo periodo da 750 miliardi di sterline cominciata lo scorso lunedì, nonostante i timori di una nuova speculazione sul mercato dei gilt.

Bank of Japan, dritti per la nostra strada.

Infine, diamo un’occhiata a Bank of Japan, che in passato è spesso stata precorritrice dei trend giunti successivamente in Occidente, su tutti quello della lotta alla deflazione.

BoJ ha di recente deciso di mantenere la sua politica monetaria estremamente accomodante.

Nella riunione dello scorso venerdì, il Governatore Haruhiko Kuroda, che all’inizio del prossimo anno lascerà anzitempo il suo incarico, ha evidenziato i rischi al ribasso per l’economia e ha indicato la sua disponibilità ad accettare uno yen più debole.

Restano quindi invariate le principali leve monetarie e l’impegno a mantenere la politica di controllo della curva dei rendimenti, a zero per il bond decennale e a -0,1% per quelli a breve termine.

Mentre dunque le altre grandi banche centrali restano concentrate nella lotta all’inflazione, BoJ resta focalizzata sul sostegno all’economia.

Dopo decenni di deflazione, Kuroda ritiene, probabilmente a ragione, che la politica ultra-accomodante sia necessaria per mantenere lo slancio verso un’inflazione sostenuta del 2%, e che “uno yen più debole sia comunque preferibile ad una valuta eccessivamente forte”. Ciò nonostante, dopo l’ultima riunione di politica monetaria del 21 e 22 settembre, il Giappone ha lanciato una serie di interventi di vendita di dollari per arginare la caduta dello yen nei confronti del dollaro.

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