Come previsto, ieri la Federal Reserve statunitense ha annunciato una ulteriore stretta di 75 punti base, portando i tassi nell’intervallo 2.25%-2.50% (a tal proposito, ricordiamo che, a differenza della BCE, la Fed non utilizza un valore puntuale, bensì un intervallo).
Si tratta del quarto aumento consecutivo.
La decisione, presa all’unanimità, è tesa a combattere la preoccupante spirale inflazionistica, a giugno “vista” al 9.1%, il valore massimo dal 1981.
Riguardo le future mosse, Jerome Powell, Presidente della massima istituzione di politica monetaria statunitense, non ha voluto sbilanciarsi, asserendo che d’ora in avanti le decisioni saranno prese sulla base dei dati: insomma, anche la Fed ha deciso di rinunciare alla forward guidance.
Ciò che però i Banchieri Centrali sembrano in questa fase ignorare è il gap che intercorre tra quanto i dati ci dicono e quello che accade nella realtà, così come c’è un gap tra l’introduzione di una misura e gli effetti che essa produce.
In altre parole, se finora l’inflazione, “vista” per lungo tempo come transitoria, si è poi rivelata essere persistente, e dunque i banchieri centrali si sono ritrovati in ritardo nel combatterla, ora, l’eccessiva foga con cui si stanno muovendo, rischia di farci sprofondare in recessione. Le prime avvisaglie le stiamo osservando proprio in queste ore, con l’economia statunitense che è calata dello 0.9% nell’ultimo trimestre.
Per il momento Powell non sembra particolarmente preoccupato, anche perché – ancora – a differenza della BCE, la Federal Reserve è meno dogmatica, dunque più politica, sugli obiettivi da perseguire: non solo il target inflazionistico, ma anche la “piena occupazione”.
E, visto che i dati sull’occupazione statunitense continuano ad essere robusti, Powell ritiene che, all’altare della lotta all’inflazione, qualche posto di lavoro possa essere sacrificato.
“Restoring price stability is just something that we have to do.”
Jerome Powell
Come detto, “Del doman non v’è certezza”, ciò nonostante, gli investitori sono pronti a scommettere che i tassi raggiungeranno il picco al 3.3% quest’anno, prima che la Fed cominci ad operare un modesto taglio nel 2023, soprattutto se il rischio recessione, dovesse farsi più reale.
Infine, Powell ha ribadito l’impegno verso una riduzione graduale del bilancio dell’Istituzione, ancora pesantemente imbottito dalle misure emergenziali rese necessarie dallo shock pandemico e non solo.
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