The Boeing Company è un’azienda aeronautica statunitense, impegnata sia nella produzione di veicoli civili che ad uso militare, fondata a Seattle nel 1916. I suoi aerei, riconosciuti in tutto il mondo come altamente tecnologici, oltre che estremamente affidabili, hanno per decenni dato lustro all’aviazione statunitense.
Questo almeno fino all’avvento, nel 2015, di Dennis Muilenburg, il CEO che ha provato a reinventare Boeing: da gigante dell’aviazione a gallina dalle uova d’oro di Wall Street.
Nel 2017, quindi a soli due anni dal suo insediamento, il prezzo delle azioni di Boeing era quasi triplicato: gli utili schizzati ad 8.2 miliardi di dollari, un aumento del 67%. Secondo l’allora direttore finanziario Greg Smith, il meglio doveva ancora venire: se si fosse continuato su quella strada, in pochi anni la quotazione in borsa avrebbe potuto toccare una cifra tra gli 800 ed i 900 $.
La ricetta era piuttosto semplice: aumentare i dividendi agli azionisti e ridurre al minimo le spese, continuando a speculare sulla riconosciuta eccellenza del marchio Boeing, conquistata attraverso decenni di duro lavoro.
In realtà, qualcuno ritiene che le prime avvisaglie di un’inversione di tendenza si fossero avute con l’acquisizione, qualche anno prima, era il 1997, del suo principale concorrente, la McDonnel Douglas, da cui Boeing ereditò nuove metodologie di lavoro e parte del management. Al fine di restare competitivi e consolidare la propria quota di mercato, più che continuare ad investire sull’innovazione, si era dunque scelta la strada più semplice, quella della fusione con un proprio competitor. Una delle decisioni più discusse fu il cambio di sede, da quella storica di Seattle a Chicago, la quale, secondo i critici, aveva come obiettivo quello di separare il reparto tecnico dalla gestione finanziaria.
Tutto sembrava andare per il verso giusto, almeno in apparenza e dall’esterno; come detto, i risultati finanziari non erano mai stati così positivi, chi però lavorava per Boeing aveva da tempo compreso come l’azienda fosse profondamente cambiata.
Il mondo lo scoprì o, meglio, ne ebbe le prime avvisaglie soltanto il 29 ottobre del 2018: il volo Lion Air 610, partito da Jakarta con direzione Pangkal Pinang, città situata sull’isola di Bangka, facente parte dell’arcipelago di Sumatra, si schiantò dopo pochi minuti dal decollo. Le vittime furono 189.
La compagnia low-cost indonesiana non godeva di una grande reputazione. Nata nel 2000, per quasi un decennio, fino al giugno del 2016, era stata bandita dallo spazio aereo dell’Unione Europea e dagli Stati Uniti, perché considerata scarsamente affidabile.
Si pensò dunque ad un errore umano, lo stesso management di Boeing si affrettò a chiarire che i suoi aerei, nello specifico il nuovissimo Boeing 737 MAX 8, il modello coinvolto nello schianto, erano sicuri.
E chi si sarebbe mai sognato di contraddire un’azienda universalmente riconosciuta come eccellenza mondiale, la quale si contendeva da decenni la leadership nel mercato dell’aviazione civile con l’europea Airbus?
Eppure, era stata proprio l’annosa competizione con Airbus, unita alle pressioni arrivate da Wall Street, a portare allo sviluppo di quello che tra gli addetti ai lavori veniva semplicemente definito “Il MAX”. Anziché puntare sulla costruzione di un nuovo aereo in grado di competere con l’Airbus A320, in Boeing avevano optato per un restyling del loro modello di maggior successo, il 737, il cui progetto iniziale risaliva a ben 45 anni prima.
Ciò avrebbe consentito una sensibile riduzione dei costi, sia a livello progettistico, quindi da parte del costruttore, sia da parte delle compagnie aeree che lo avrebbero acquistato, in quanto non sarebbero stati necessari nuovi corsi di addestramento per i piloti. Anche i tempi di approvazione da parte dell’organismo preposto, la FAA (Federal Aviation Administration) si sarebbero notevolmente accorciati.
Insomma, era già tutto bello e pronto, un bel vantaggio rispetto alla concorrenza, che qualche anno prima, era il 2013, li aveva superati negli ordinativi.
Nel 2018 vennero venduti più di 5mila MAX, mai nessun modello nella storia di Boeing aveva venduto così tanto.
Il 10 marzo del 2019, quindi a circa mesi dalla precedente tragedia, il volo Ethiopian Airlines 302 partito dall’aeroporto Internazionale di Addis Abeba, in Etiopia, con direzione Nairobi, in Kenya, si schianta, anch’esso in circostanze poco chiare. Muoiono 157 persone.
Anche stavolta l’aereo è un Boeing 737 MAX 8. Si comincia a dubitare della sua affidabilità
Boeing inizialmente continua a negare, poi, sotto pressione, comincia a parlare della possibilità di malfunzionamento del sistema MCAS (Maneuvering Features Augmentation System), un sistema ideato per rendere l’aereo più stabile.
L’incremento della potenza dei motori del nuovo MAX li aveva resi più pesanti; inoltre, l’impossibilità di spostarli rispetto al progetto iniziale del 737 rendeva il velivolo meno stabile: il rischio è che alle alte velocità l’aereo potesse “impennarsi”, andando così in stallo.
L’MCAS assolveva dunque al compito di riportare il muso dell’aereo verso il basso in caso di necessità. “Abbiamo rapidamente identificato che questa attivazione di MCAS avrebbe potuto essere uno scenario” aveva affermato John Hamilton, allora vicepresidente di Boeing, aggiungendo di essere già al lavoro su una modifica software, che sarebbe stata pronta in sole sei settimane.
Successivamente si scoprì che l’MCAS era fondamentale in ogni circostanza, che la problematica era nota sin dal 2013, che durante la progettazione del MAX il sistema era stato rivisto per ben due volte ma, soprattutto, che nei documenti ufficiali non c’era traccia di questo nuovo sistema, i piloti neppure sapevano che ci fosse.
MCAS era una dicitura utilizzata solo internamente, il sistema era stato fatto passare come un’aggiunta al Trim – i vertici di Boeing a tal proposito avevano fatto pressione sull’FAA – quelle alette mobili che consentono di mantenere l’aereo nella direzione e nell’assetto desiderati senza che il pilota debba fare sforzo sulla cloche.
Questo perché, se Boeing avesse fatto passare l’MCAS per una nuova funzione, non sarebbe stato possibile pilotare il MAX senza un congruo periodo di addestramento al simulatore e un conseguente aggravio dei costi.
Boeing stava barattando la sicurezza delle persone pur di mantenere un vantaggio competitivo.
Da ulteriori indagini venne appurato che senza una repentina correzione del software, almeno altri 15 incidenti avrebbero potuto verificarsi durante l’intera vita operativa del MAX e che solo un pilota su cento sarebbe stato in grado di gestire un guasto improvviso del sistema.
Sì, perché la velocità con cui un pilota avrebbe dovuto reagire al presentarsi del malfunzionamento all’MCAS era stimata in dieci secondi, dieci secondi per comprendere la possibilità di malfunzionamento di un sistema che inizialmente non si sapeva neppure di avere a bordo, un sistema per il quale, a differenza di quanto scritto nei documenti interni, non era stato previsto alcun addestramento, una follia. Oltre all’eventualità di un malfunzionamento, sarebbe bastato che un palloncino o un uccello, ipotesi tutt’altro che eccezionale, colpisse quel sensore per mettere a repentaglio la vita di oltre cento persone.
Il management si giustificò dicendo “Non volevamo sommergere i piloti di un eccesso di informazioni”, una dichiarazione che lasciò sgomenti, davvero imbarazzante per un’azienda che aveva fatto della sicurezza il suo fiore all’occhiello.
Insomma, Boeing era a conoscenza sin dall’inizio delle criticità al sistema MCAS e non fece nulla.
Successivamente emerse pure che la società aveva rigettato le richieste di alcune compagnie aeree, tra cui la stessa Lion Air, riguardo la necessità di una formazione aggiuntiva per pilotare il MAX. “Idioti”, così vennero definiti i responsabili di Lion Air.
Al management di Boeing interessava esclusivamente raggiungere gli obiettivi ed intascare i bonus.
Un dipendente, disperato dalle falle nella sicurezza del MAX aveva esclamato: “Questo aeroplano è progettato da clown, che a loro volta sono supervisionati da scimmie”.
Il 23 dicembre del 2019, Muilenburg si dimise dal ruolo di CEO e direttore del consiglio di amministrazione. Sebbene l’azienda avesse perso 14.6 miliardi di capitalizzazione azionaria, egli ricevette, come da contratto, ben 62.2 milioni di $ in azioni e premi pensionistici.
Nel gennaio del 2021 Boeing ha accettato di pagare 2.5 miliardi di dollari per multe e risarcimenti al fine di scongiurare azioni penali.
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