L’acquisizione di Arm Holdings da parte di Nvidia Corporation è definitivamente tramontata.

L’accordo, stipulato nel 2020 per un ammontare iniziale di 40 miliardi di $, tra Softbank, il conglomerato finanziario giapponese proprietario dell’azienda tecnologica britannica, nota soprattutto per la sua omonima linea di processori, ed il produttore di chip statunitense, aveva immediatamente portato ad una levata di scudi da più parti:

dalle società tecnologiche a cui Arm fornisce su licenza la sua tecnologia in modo del tutto neutrale, senza alcun accordo di licenza esclusiva, Google, Apple, Qualcomm, Samsung, ecc., fino alle autorità regolatorie di Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito e Cina, tutti preoccupati che questa unione avrebbe ostacolato la concorrenza nel settore dei semiconduttori, settore ormai centrale per la produzione di tantissimi prodotti, dallo smartphone alle automobili, fino alle soluzioni IoT (internet of things), come le lampadine che si accendono con la voce. Un ulteriore timore era che Nvidia potesse sfruttare a proprio vantaggio le informazioni sensibili che le altre aziende condividono con Arm.

Di quanto questo settore sarà fondamentale negli anni a venire lo testimonia il cosiddetto “Chip Act”, una serie di misure diramate proprio ieri dall’Unione Europea che mirano a riportare la produzione di semiconduttori nel Vecchio Continente, dopo che, per oltre un decennio, se ne era delegata la produzione in Cina. Lo stesso Giappone si sta muovendo in questa direzione.

Si trattava dunque di un accordo che avrebbe dovuto superare le resistenze di troppe parti in causa, la stessa Softbank, nella nota rilasciata ieri nella quale annunciava l’impossibilità di concludere l’affare, ha parlato di “sfide normative significative”.

Insomma, citando il Manzoni, “Questo matrimonio non s’ha da fare”.

Ora che succede?

Innanzitutto, SoftBank manterrà il deposito da 1.25 miliardi di dollari ottenuto alla firma, in quanto, stando agli accordi sottoscritti con Nvidia, non è rimborsabile.

Masayoshi Son, CEO di SoftBank, per quanto contrariato dalla mancata conclusione dell’affare, a suo dire l’accordo avrebbe coinvolto due attività completamente diverse, “È come paragonare un produttore di motori per auto ad uno di pneumatici”, ha prontamente annunciato la volontà di tornare a quello che, al tempo dell’acquisizione di Arm, avvenuta nel 2016 per 32 miliardi di $, era il “piano A”, ossia la sua quotazione in borsa, la quale dovrebbe avvenire entro la fine dell’anno fiscale, dunque entro il marzo del 2023, su una piazza ancora da decidere. Contestualmente ARM ha anche annunciato un cambio al vertice, Rene Haas sostituirà il CEO di lunga data Simon Segars, decisione però che non sarebbe legata alla mancata conclusione dell’affare.

È difficile comprendere quanto dietro la decisione di bloccare quello che sarebbe stato il più grande accordo mai raggiunto nel settore dei semiconduttori ci sia il mantenimento dei già complessi equilibri geopolitici e quanto quella di ostacolare la nascita di una condizione di monopolio, ciò nonostante, ritengo che sarebbe stata auspicabile da parte delle autorità preposte la stessa attenzione riservata all’affare Nvidia-Arm quando in ballo c’erano i nostri dati, vedi le acquisizioni di Instagram e WhatsApp da parte di Facebook. Da qualche anno i giganti della Silicon Valley, nel silenzio della politica, fanno razzia di qualsiasi nascente startup, e i nostri dati personali sono un asset importante almeno quanto quello dei semiconduttori.

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