Ormai mancano pochissimi giorni alla fatidica data del 30 Giugno, giorno in cui la Grecia dovrà rimborsare al Fondo Monetario Internazionale la rata da 1.6 miliardi, ed il cappio al collo per gli ellenici si fa sempre più stretto. Un accordo con i creditori va trovato a breve, a brevissimo, è probabile che arrivi oggi stesso, o almeno prima della riapertura delle borse di lunedì.
La clessidra si è ormai svuotata, il premier Tsipras ed il suo ministro delle finanze Varoufakis hanno tenuto duro fino all’ultimo, adesso però sono con le spalle al muro: se vogliono impedire il default e la conseguente, probabile, uscita dall’euro della Grecia dovranno piegarsi ai creditori internazionali ed accettare la solita ricetta “lacrime e sangue” proposta dai creditori internazionali.
L’aumento dell’Iva e dell’età pensionabile, tra i principali nodi della vicenda, rappresenterebbero le ennesime misure recessive che minerebbero dalle fondamenta le possibilità di crescita dell’economia greca e, conseguentemente, le possibilità di ripagare i propri creditori. Intendiamoci, non si discute la necessità di mettere fine a delle criticità che contraddistinguono gli ellenici: è impensabile, per esempio, che i greci vadano, in media, in pensione 6 anni prima rispetto ai tedeschi, o che le uscite del loro sistema pensionistico in rapporto alle entrate siano del 175% conto al 125% dei tedeschi (Dati Eurostat), contribuendo a rendere la Grecia il Paese che più spende rispetto al PIL in pensioni, piuttosto si discute sulle tempistiche.
Tali misure, inoltre, delegittimerebbero il governo greco agli occhi del proprio elettorato che, ricordiamo, aveva vinto le elezioni proprio grazie ad una forte campagna elettorale incentrata sulla lotta all’austerità, e che quindi determinerebbe a sua volta anche una prima spaccatura nella maggioranza parlamentare che lo sostiene; sarebbero infatti già 30-40 i deputati di Syriza pronti a lasciare.
Da qui, quindi, la decisione di Tsipras nella notte di lavarsene le mani e sottoporre la proposta dei creditori a referendum popolare, che dovrebbe tenersi il prossimo 5 Luglio, ipotesi in passato già percorsa dall’ex Premier Papandreu ma bloccata sul nascere dagli altri leader europei, preoccupati dal suo esito, già scottati da precedenti consultazioni popolari, quale quello della Costituzione Europea, che venne bocciata in Francia e Paesi Passi. Adesso, dato che i greci hanno a più riprese manifestato l’intenzione di restare nell’euro, questo nuovo referendum non dovrebbe destare preoccupazioni e dovrebbe portare, loro malgrado, all’accettazione del piano dei creditori.
In fondo, ritengo la decisione di Tsipras la scelta migliore, non possono essere addossate responsabilità ad un leader che, in una situazione ingestibile, ce l’ha messa tutta per cambiare il destino dei suoi concittadini, ben consapevole di essere un’economia troppo poco influente per poter realmente incidere. Semmai, le principali responsabilità risiedono nei suoi predecessori, veri artefici della debacle greca, non scordiamo che la Grecia entrò in Europa attraverso bilanci poco cristallini, volendo usare un eufemismo, e, in parte, anche in quei leader politici a capo di grandi Paesi che nelle rispettive campagne elettorale avevano fatto la voce grossa, spesso facendo proprie le parole del leader greco, ma che al primo incontro ufficiale con la Merkel si sono tristemente rimangiati tutto.