Il ringgit è in difficoltà. La valuta malese è ai minimi dai tempi della “crisi delle tigre asiatiche” della fine degli anni ’90.
Nonostante l’impegno dichiarato da parte della banca centrale locale, la Bank Negara Malaysia, a vendere alcune delle riserve detenute in dollari e le buone prospettive di crescita per quest’anno della Malesia e dell’intera area ASEAN (Association of South-East Asian Nations), il ringgit continua ad essere debole,
troppo vicino alla soglia critica di 4,8850 $ toccata il 7 gennaio del 1998, quando l’allora Primo Ministro Mahathir Mohamad diede il via a tutta una serie di misure eccezionali, tra cui il controllo sui capitali, per evitare che la crisi finanziaria originatasi dal crollo del baht tailandese si propagasse ulteriormente.
È chiaro che, al di là delle misure eventualmente poste in essere dalle autorità, lo spartiacque per la Malesia e le altre economie emergenti sarà il taglio dei tassi previsto entro l’anno della Fed, dato per scontato dalla quasi totalità degli analisti ma sul quale aleggia ancora un alone di mistero.
Infatti, così come l’estenuante rialzo dei tassi operato da Jerome Powell dal marzo del 2022, che ha portato il costo del denaro all’intervallo 5.25-5.50%, il livello più alto in oltre vent’anni, ha determinato il deflusso di capitali dagli emergenti, la normalizzazione dell’economia statunitense aprirà di nuovo le porte agli investimenti nelle aree più periferiche del mondo.
In aggiunta, lo scenario geopolitico complesso, tanto per il perdurare dell’invasione russa in Ucraina, quanto per la nuova crisi in Medio Oriente, nonché le difficoltà dell’economia cinese, dovrebbero offrire un’ulteriore spinta alla crescita degli investimenti nell’area ASEAN, il cui potenziale risulta ancora in gran parte inespresso.
A questo punto vi starete chiedendo, dato lo scenario prospettato, essendo la Malesia un Paese estremamente orientato alle esportazioni, una valuta debole non dovrebbe giovarle? La risposta breve è sì, ciò nonostante, una valuta eccessivamente debole ha per forza di cose anche un impatto lato importazioni, che si esplica in aumento dei prezzi dei beni e servizi per i cittadini locali.
Il timore è che la spirale inflazionistica che abbiamo imparato a conoscere nell’ultimo anno e mezzo in occidente giunga prepotentemente anche in oriente; per certi versi, se si guarda il Giappone, questo è già avvenuto seppur con effetti positivi sull’economia del Sol Levante dato che, in quella circostanza specifica, si partiva da una condizione di deflazione cronica.
Rispetto invece al fantasma di una nuova crisi finanziaria, va chiarito che la Malesia si trova in una condizione sicuramente migliore di quella del 1998: allora Kuala Lumpur aveva un deficit delle partite correnti prossimo al 5%, ora un surplus strutturale tra il 2 ed il 3%; inoltre il mercato finanziario attuale appare più sviluppato, dunque più pronto, a sopportare eventuali turbolenze mentre desta qualche preoccupazione il livello del debito, tra i più alti tra le economie emergenti, complice gli interventi resisi necessari dall’emergenza COVID-19.
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