
Il Governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi.
Nella giornata di ieri si è tenuta la consueta riunione mensile del board della BCE.
Sebbene non siano state annunciate novità di sorta nella condotta della politica monetaria dell’Eurozona, la quale resta accomodante e in procinto di chiudere, anzi, come espresso da Mario Draghi, di sospendere, l’era del Quantitative Easing, ad attirare le attenzioni degli addetti ai lavori sono state, come prevedibile, le numerose domande rivolte dalla stampa al numero 1 dell’Eurotower sul tema Italia e in particolare sulla manovra dell’Esecutivo italiano, per altro già bocciata dalla Commissione Europea, che rischia di minare non solo la stabilità economica del Belpaese ma dell’intera area euro.
Con un ottimismo, non so quanto di facciata, Draghi crede in un accordo tra le parti, aggiungendo che per il bene del nostro Paese sarebbe auspicabile moderare i toni e intraprendere politiche atte a ridurre gli spread, la cui forbice, oltre ad allargarsi verso la Germania, si sta anche pericolosamente assottigliando verso la Grecia.
Draghi ha inoltre escluso che al momento ci sia un effetto contagio, probabilmente qualche relazione con le performance sotto le aspettative di alcuni Paesi periferici potrebbe esserci, ma niente di così rilevante da destare preoccupazioni in tal senso. A tal proposito ha tenuto inoltre a chiarire che non vi sono sul tavolo ipotesi di un prolungamento del QE, il quale, com previsto, si esaurirà a fine anno, e che a quel punto l’unico strumento per salvare l’Italia in caso di esplosione del debito sarà l’OMT (Outright Monetary Transactions), ossia prestiti vincolati all’accettazione di un serio e corposo piano di riforme strutturali, quelle che l’Esecutivo populista pare deciso a smantellare.
Oltre alla sospensione del QE, il 2019 sarà anche l’anno della fine del mandato di Draghi, per la precisione il 31 ottobre del prossimo anno, a succedergli sarà molto probabilmente un tedesco, l’attuale Presidente di Bundesbank, Jens Weidmann, sarebbe bene che il nostro Paese la smettesse di recitare la parte del bambino capriccioso per cominciare, finalmente, un dialogo serio con le istituzioni europee: già il QE, giustificato da Draghi da un tasso di inflazione core distante dal target del 2%, fu un artifizio non ben visto a Berlino che aiutò il nostro Paese ad uscire dal vortice della speculazione, il ripetersi di quanto vissuto nel 2011, senza il suo scudo, potrebbe avere effetti ben più gravi.
Diffidate dall’ottusità e dalla retorica spicciola anti europeista dei populismi, ne va del nostro futuro.
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