La tanto attesa seconda stagione di Gomorra è finalmente arrivata. Ieri sera, infatti, Sky Atlantic ha mandato in onda i primi due episodi della fortunata serie che si ispira all’omonimo e famoso libro scritto ormai dieci anni fa da Roberto Saviano, il quale raccontò, come mai probabilmente fatto prima, il modo in cui operano le organizzazioni mafiose.
Non avevo intenzione di scrivere qualcosa su questo tema, questo blog è nato con l’idea di offrire la mia visione su temi di politica economica, come recita però il mio claim “Dico la mia, sempre”, talvolta mi piace offrire il mio punto di vista anche su argomenti diversi da quelli canonici su menzionati.
Ieri non ho guardato i primi due episodi in “diretta” – è da qualche anno che ho maturato l’abitudine di guardare la tv, soprattutto se si tratta di serie, quando ne ho voglia o tempo, il My Sky è una grande invenzione – l’ho guardato stamattina, ciò nonostante, ho immediatamente preso in mano lo smartphone per raccogliere un po’ di impressioni, tanto sulla pagina ufficiale di Roberto Saviano, quanto su Twitter. È una cosa che faccio spesso quando qualcosa mi piace, sono curioso di capire il punto di vista degli altri, il cosiddetto sentiment della rete.
Ed è proprio questa azione ad aver ispirato questo articolo, in particolare le tante critiche, in realtà non nuove, sul rischio alienazione che messe in scena simili potrebbero sortire sui giovani, soprattutto quelli costretti a respirare mafia ogni giorno della propria esistenza.
La mia idea di base, quando si parla di temi delicati come questo, è che la conoscenza non è mai un errore, anzi, ne rappresenta la soluzione: per maturare un pensiero è necessario informarsi, sempre, se si finge che la mafia non esista si fa soltanto un favore alla criminalità, bisogna però trovare il modo.
Appunto, il modo: mentre un libro, una rappresentazione teatrale, magari persino un film, sarebbero a mio avviso strumenti più idonei, in quanto più “alti”, dunque, riservati ad un pubblico di classe socio-economica più elevata, più pronto a comprendere ed affrontare certi temi, il linguaggio della serie TV, al contrario, rappresenta uno strumento più popolare, dunque, purtroppo, quello che più di ogni altro può incorrere nell’emulazione.
Ma vogliamo continuare a credere che la mafia si combatti con un libro quando in questo Paese nessuno legge più? Vogliamo che a parlare di mafia siano esclusivamente i soggetti dotati di maggior cultura? È stato sufficiente? La risposta è no, occorre dunque allargare gli orizzonti, sporcarsi le mani, anche a costo di acuire la situazione.
A mio avviso, il problema principale di Gomorra risiede nell’alta qualità del prodotto, che lo colloca al livello delle grandi serie americane. In particolare, è l’ottima caratterizzazione dei personaggi a rendere il rischio alienazione reale, nonché i tanti aforismi che ne sono derivati, diventati dei veri e propri tormentoni tra i giovani. Un prodotto sotto questo profilo mediocre avrebbe sicuramente attecchito meno sul pubblico.
Ciò nonostante, soprattutto per quanto visto in questi primi due episodi della seconda serie, i momenti di disperazione della condizione del mafioso, il quale vive in un perenne disagio, figlio del fatto di non potersi fidare di nessuno, neppure dei propri cari, e, soprattutto, della paura che la morte possa fargli visita da un momento all’altro, sono ben raccontati, anche grazie a colonne sonore di pregevole fattura. Poi, certo, il denaro, le auto e le abitazioni lussuose, potranno far presa su un pubblico giovane, ma credo emerga chiaramente l’impossibilità del mafioso di disporre liberamente dei propri averi.
Dunque, il messaggio non è deviante come qualcuno sostiene, c’è “solo” il rischio che esso venga mal interpretato da chi non è capace di comprenderlo appieno. A tal proposito, Sky avrebbe dovuto prevedere una trasmissione che facesse da cornice alla serie, un po’ come fatto da La7 in occasione della messa in onda di 1992, magari servendosi dello stesso Saviano, ma sarebbe stata una scelta da servizio pubblico, Sky, al di là dell’ottimo Sky Arte, resta una tv commerciale. Credo che lo scrittore partenopeo abbia ben presente i rischi legati alla mitizzazione delle vicende dei vari Savastano, Conte e Di Marzio, e sono convinto che la storia avrà per tali personaggi un epilogo assai duro, del resto, dobbiamo fidarci di Saviano, se il tema mafie è tornato in auge in questi anni lo dobbiamo a lui, non di certo allo Stato, che fa da comparsa, tanto nella serie, quanto nella realtà.
Al di là delle opinioni su Gomorra – La Serie, a proposito, rinnovo l’invito ad esprimere il vostro punto di vista commentando qui sotto, voglio concludere questo articolo con una poesia composta dagli amici di Peppino Impastato – a proposito, due giorni fa, il 9 maggio, è stato l’anniversario della sua morte – e messa in musica da Carmen Consoli in occasione del Concertone del Primo Maggio di qualche anno fa; si intitola “Ciuri di campo”, non riesco a smetterla di ascoltarla, si è inserita prepotentemente tra le canzoni del nuovo album dei Radiohead, “A moon shaped pool”, che sto consumando.
Peppino Impastato nacque da una famiglia mafiosa ma, anziché scegliere di esserlo a sua volta, si ribellò e fece di tutto per combatterla. Egli, al contrario di Salvatore Riina che, nello squallido teatrino messo in piedi a “Porta a Porta”, quando gli fu chiesto di parlare di suo padre, si trincerò dietro un “Non spetta a me giudicare”, scelse la strada opposta, denunciando i propri familiari, scelta che gli costò la vita. Troppo spesso abusiamo del termine eroe, lo riserviamo a sportivi, cantanti, attori, troppo raramente a chi lo è stato davvero.