Ha senso lasciare tutti i propri risparmi sul conto corrente?

Si sa, al giorno d’oggi è quasi impossibile fare a meno di un conto corrente.

Tra la necessità di farsi accreditare lo stipendio o la pensione, effettuare bonifici, pagare le bollette, fino ai più moderni servizi di home banking, non disporre oggi di un conto corrente vuol dire andare incontro a tutta una serie di noie, code, seccature, nonché complicazioni burocratiche di ogni tipo.

Eppoi, siamo onesti, avere il controllo del proprio denaro con due click è una bella comodità.

Quanti però, tra voi, fanno anche attenzione ai costi, spesso spalmati sul singolo mese, al punto da sembrare irrisori, anzi, mettiamola così, quanti tra voi leggono con attenzione le comunicazioni che la nostra banca ci invia? Quanti servizi, spesso inutili o inutilizzati, finiamo per pagare senza neppure saperlo?

Qual è la funzione del conto corrente?

Eppoi, siamo proprio sicuri che la funzione del conto corrente sia quella di “cassetta” di tutti i nostri risparmi? No, perché, quel “corrente” dovrebbe immediatamente portarci a pensare alle spese correnti, alle necessità che un singolo individuo o una famiglia si ritrova ad affrontare nel brevissimo periodo, a cadenza regolare.

In fondo è lo Stato stesso ad invogliarci a farne un uso più profittevole, altrimenti non avrebbe inserito un’imposta di bollo di 34,20 euro per giacenze superiori ai 5.000 euro, che diventano 100 nel caso di un conto aziendale. Eppoi ci sono i costi di gestione del conto corrente, quelli relativi alla carta di debito o di credito, le spese di comunicazione, la commissione sui bonifici, un eventuale canone sull’home banking e così via.

Insomma, accettiamo tutta una serie di piccoli balzelli, ripeto, spesso furbamente spalmati a cadenza mensile al fine di risultarci irrisori, perché “E se dovessero servirmi?”; poi però gli anni passano e quel denaro risparmiato con tanta fatica o magari ricevuto dalla vendita di qualche immobile ereditato, finisce via via per erodersi sotto i colpi di costi, tasse e spese di ogni genere.

Anche perché, semmai la cifra è importante, credete che la banca sia in grado di restituirvela con uno schiocco di dita?

Perché ci fidiamo ciecamente delle banche?

Un’altra autogiustificazione ricorrente, poi, sta nell’eccessiva fiducia, sotto certi aspetti davvero inspiegabile, che l’italiano medio continua a nutrire nei confronti degli istituti bancari: da un lato, non perdono mai occasione di demonizzarle, l’emblema del sistema capitalistico, il capro espiatorio di ogni crisi finanziaria, dall’altro, lasciano loro gestire tutti i propri risparmi.

È come se i risparmiatori avessero una sorta di timore referenziale verso quell’edificio, verso ciò che rappresenta, e che quindi prendano per buono qualsiasi cosa lo sportellista dica o consigli loro: “Firmi qui, è per la privacy.

Sì, perché, spesse volte, e qui parlo per esperienza personale, più ci si impegna nel mostrarsi trasparenti nel voler chiarire i dubbi e le perplessità del risparmiatore, più si inscena in quest’ultimo un’insensata sfiducia, una cultura del sospetto che, al contrario, dovrebbe essere rivolta verso chi spiegazioni non ne dà affatto o promette chissà quali performance.

Eppoi, qualcuno ha mai sentito parlare della direttiva sul Bail-in?

La direttiva n. 2014/59/UE (cd Banking Recovery and Resolution Directive, BRRD) ha introdotto in tutti i Paesi europei regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento. Tale direttiva è stata recepita in Italia con i decreti legislativi del 16 novembre 2015 n. 180 e 181, meglio conosciuta con il nome di “Bail-in”.

Essa prevede che, in caso di crisi bancaria, l’Istituto possa continuare ad operare e ad offrire servizi finanziari ritenuti essenziali per la collettività, attingendo le risorse finanziarie necessarie nel seguente ordine:

  • Azioni e altri strumenti finanziari assimilati al capitale (come le azioni di risparmio e le obbligazioni convertibili).
  • Titoli subordinati senza garanzia.
  • Crediti non garantiti (ad esempio, le obbligazioni bancarie non garantite)
  • Depositi di ammontare superiore ai 100.000 euro delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese.

Fino a tale soglia, la normativa dice che i depositi sono tutelati dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e dal Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo ai quali aderiscono tutte le banche operanti in Italia.

Questo, almeno, è quanto ci dice la legge, ma siamo proprio sicuri che in caso di dissesto bancario, soprattutto di una banca sistemica, quelle che prima della crisi dei mutui subprime venivano definite “too big to fail”, lo Stato abbia risorse a sufficienza per salvare i risparmiatori?

A tutto ciò, nell’ultimo anno, si è aggiunta la piaga inflazione.

L’inflazione, per chi non lo sapesse, è il termine con il quale si definisce la crescita generalizzata e continuativa del livello dei prezzi nel tempo. Si tratta di un indicatore fondamentale, in quanto il livello dei prezzi condiziona il potere di acquisto, ossia il quantitativo di beni e servizi che è possibile acquistare.

L’ultimo dato ISTAT dice 8,4%, ciò significa che sui nostri risparmi lasciati fermi sul conto corrente, oltre a quanto ci siamo detti finora, peserà un’ulteriore “tassa”, stavolta occulta, dell’8,4%!

E gli italiani, si sa, hanno sempre avuto una certa predilezione verso il risparmio ed il contante: l’ultimo dato di Bankitalia ci dice che i nostri connazionali hanno depositati sui propri conti corrente quasi 1.400 miliardi di euro.  

Avversione al rischio? Scarsa educazione finanziaria? Può darsi, ma tenerli fermi lì, non solo è un danno per il singolo individuo, ma lo è soprattutto per il sistema-Paese, in quanto vengono precluse nuove opportunità di crescita e sviluppo.

Qual è lo scopo della finanza?

La finanza nasce per trasferire denaro da chi ce l’ha ma non ha idee a chi un’idea ce l’ha ma non ha i fondi per realizzarla.

Investire non è semplicemente accettare un tasso di rendimento – chiariamo anche questo aspetto, diffidate da chi ve ne promette uno – ma sposare un’idea, un progetto, un progetto che da soli non saremmo mai stati in grado di realizzare.

Questa sensazione la si comprende appieno soprattutto quando si sceglie di investire in economia reale, ossia in aziende di piccola e media dimensione, non ancora quotate, fornendo loro il capitale necessario per crescere, svilupparsi, e magari diventare le multinazionali di domani.

In questo caso la finanza smette di essere qualcosa di freddo e distaccato per assumere un volto più umano, quello delle persone che ci sono dietro, del loro estro, della loro passione cominciamo, insomma tutto quello che in fondo rende vivi ciascuno di noi.

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