Hanno scelto il nome Atlante, il titano che, secondo la mitologia greca, fu condannato a reggere la volta celeste, per il nuovo fondo di investimento alternativo (Fia) lanciato da Quesito Sgr con lo scopo di tamponare e stabilizzare le falle del sistema bancario italiano. Si tratta di un fondo che, seppur vede come garante istituzionale la Cassa depositi e prestiti con una partecipazione minima, ha matrice esclusivamente privata, composta dai più grandi istituti di credito, assicurazioni e fondazioni italiane.
Con l’avvento del Bail-in – se avete ancora dubbi sul suo significato, vi invito a leggere il mio precedente articolo “Vi Spiego cos’è il Bail-in” – infatti, lo Stato non può più salvare gli istituti di credito attraverso la loro nazionalizzazione, operazione compiuta in passato da diversi Paesi europei, Germania in primis, mentre i nostri Esecutivi, in quel periodo, complice anche il grave attacco dei mercati con lo spread a 500, non andavano oltre il ribadire quanto il nostro sistema bancario fosse solido (Unica eccezione, il salvataggio di Mps).
La storia ha poi dimostrato il contrario: a fine 2015, il decreto denominato “Salva banche” per la costituzione di una bad bank con lo scopo di salvare i famosi 4 istituti di credito (Banca delle Marche, Banca Etruria, CariChieti e CariFerrara) – affossati dalle sofferenze per un ammontare complessivo di 8.5 miliardi di euro – con lo strascico di polemiche derivante dal mancato salvataggio dei sottoscrittori di obbligazioni subordinate, a loro dire raggirati dagli istituti.
Il Fondo Atlante, il cui valore complessivo dovrebbe aggirarsi sui 6 miliardi di euro, si pone un duplice obiettivo: da un lato, fungere da garanzia di ultima istanza consentendo aumenti di capitale più agevoli agli istituti di credito in difficoltà, dall’altro, acquistare crediti in sofferenza (Npl= Non performing loans) – con l’intento di aumentare il valore di mercato dei crediti deteriorati – in modo che la valutazione degli investitori internazionali, oggi disposti a pagare per un ammontare intorno al 20% del loro valore nominale, si avvicini maggiormente al valore iscritto in bilancio che è in media del 44%. Ciò sortirebbe anche il decollo del mercato dei crediti deteriorati, da anni bloccato da prezzi enormemente speculativi.
Al fine di raggiungere questi obiettivi, il Governo è deciso a fare la propria parte, impegnandosi ad emanare nelle prossime settimane un decreto atto ad abbreviare i tempi di recupero dei crediti in sofferenza, in quanto, è intuitivo, più celere è il recupero del credito, più il suo valore attualizzato aumenta.
Come spero sia chiaro da quanto esposto sinora, il problema principe degli istituti di credito italiani attiene ai crediti in sofferenza – nella maggior parte dei casi, o almeno per quanto concerne i 4 istituti di credito oggetto di salvataggio, figli di concessioni di prestiti ai soliti “Amici di” senza opportune garanzie – e sia il Fondo Atlante, quanto gli interventi promessi del Governo, mirano alla risoluzione di questo problema; ora, ammesso che si passi dalle parole ai fatti, ossia che i cda delle rispettive banche, assicurazioni e fondazioni sottoscrivano questo fondo (e in che misura) e che il Governo adempia quanto annunciato, occorrerà esaminare la risposta dei mercati (sarà sufficiente a ripristinare la fiducia in Borsa?), senza trascurare l’occhio sempre pressante dell’Europa: il rischio che tale intervento venga configurato come un “aiuto di Stato” dovrebbe essere scongiurato ma non si sa mai.
Infine, c’è un aspetto che a mio avviso va registrato: la prima assunzione di responsabilità da parte dei principali artefici della crisi che abbiamo vissuto in questi anni; il tanto chiacchierato bail-in ha messo loro con spalle al muro, gli atteggiamenti che gli economisti chiamano moral-hazard non sono più contemplati, l’opinione pubblica non dovrà più farsi carico delle condotte scellerate delle banche.