Quantitative easing 2.0: Draghi perfeziona il bazooka.

da | Mar 11, 2016 | Politica economica | 0 commenti

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Il Governatore della BCE, Mario Draghi.

Nella giornata di ieri, il Governatore della BCE, Mario Draghi, ha attuato alcuni sostanziali affinamenti al bazooka messo in piedi un anno fa dopo che le stime di crescita dell’inflazione, complice il basso prezzo del petrolio, erano state riviste verso il basso negli ultimi mesi.

Prima di tutto, andiamo ad esaminare i provvedimenti singolarmente ed in maniera asettica per poi cercare di trarne qualche spunto critico.

  1. Taglio dei tassi. La prima misura operata da Draghi attiene all’azzeramento del tasso di riferimento, ossia il tasso che principalmente fornisce liquidità al sistema bancario, portandolo dallo 0.05% allo zero. Inoltre, il tasso overnight sui depositi, ossia quello pagato alla banca quando “parcheggia” denaro presso la BCE, passa da -0.30% a -0.40%, mentre la marginal lending facility, ossia il tasso pagato dalle banche per prendere credito overnight scende dallo 0.30% allo 0.25%. Tali tassi entreranno in vigore il prossimo 16 Marzo.
  2. Aumento del Quantitative easing. Il Quantitative easing – la manovra di alleggerimento monetario concernente l’acquisto sul mercato secondario di titoli del debito pubblico dei Paesi dell’Eurozona – a partire da Aprile, subirà un incremento, da 60 a 80 miliardi di euro al mese. Tale programma, come sancito un anno fa, durerà, salvo ulteriori stravolgimenti, almeno fino a Marzo 2017, mentre i tassi, per bocca dello stesso Governatore della BCE, resteranno bassi per un lasso di tempo superiore. Inoltre, la BCE ha alzato dal 35 al 50% il limite acquistabile di ciascuna singola emissione di bond attraverso il QE.
  3. Nuovi prestiti agli istituti bancari. La BCE, a partire da Giugno, fino a Marzo 2017, lancerà 4 nuove Tltro (Targeted Long Term Refinancing Operations) trimestrali, ossia dei finanziamenti a lungo termine alle banche, con durata di 4 anni, con possibilità di ripagarli dopo 2, al tasso di riferimento, ossia lo 0% ma con la possibilità di scendere fino al -0.40%, ossia il tasso overnight sui depositi, nel caso questi prestiti verranno utilizzati per far credito a famiglie ed imprese.
  4. Apertura ai bond aziendali. Con il nuovo QE, la BCE apre all’acquisto di titoli di aziende non finanziarie, purché abbiano un livello investment grade, ossia non speculativo. La scelta delle aziende che beneficeranno di tali acquisti sarà operata da un comitato ad hoc e dovrebbe concretizzarsi verso la fine del secondo trimestre dell’anno in corso.

Ora, spazio alle mie considerazioni.

Dunque, la prima considerazione che mi sento di fare è che la BCE con questi provvedimenti abbia implicitamente ammesso che l’Eurozona è nella condizione che Keynes definì Trappola della liquidità, ossia quella situazione nella quale la politica monetaria risulta del tutto inefficace, in quanto gli stimoli all’economia derivanti dalle variazioni del tasso di interesse non sortiscono alcun effetto su consumi ed investimenti, dunque, sull’economia reale.
Questa situazione si prefigura nel caso le aspettative di crescita siano, come accaduto, viste al ribasso; ciò comporta una maggiore propensione al risparmio al fine di poter consumare anche domani, quando il reddito potrebbe essere perfino più basso del livello attuale. I keynesiani erano soliti utilizzare una massima per spiegare questa condizione: «È possibile portare un cammello all’abbeveratoio, ma non lo si può costringere a bere».

La ricetta di Keynes per uscire da questa condizione è una politica fiscale espansiva ma, come probabilmente saprete, gli stringenti vincoli di bilancio previsti dal Fiscal Compact, allentati soltanto per combattere il problema immigrazione/terrorismo, non prevedono tale possibilità, senza contare che la BCE è stata costruita sulla visione monetarista, la quale sancisce l’assoluta predominanza della politica monetaria su quella fiscale.

Questa visione così lapidaria della macroeconomia derivava dalla conclusione che l’inflazione fosse esclusivamente un fenomeno monetario – ossia, determinando l’offerta di moneta si poteva controllare il tasso di inflazione – e che quindi, una volta che le differenze tra i diversi Paesi dell’Eurozona si sarebbero via via attenuate fino ad azzerarsi, questo unico strumento sarebbe stato sufficiente per indirizzare la politica economica nell’intera Eurozona. Tale visione che se dal punto di vista accademico sembrava allora ineccepibile, si è rivelata parecchio fallace nella realtà, dato che le differenze tra i Paesi persistono tutt’ora e che, senza nuovi passi verso i cosiddetti Stati Uniti d’Europa, resteranno tali. Semplificando il discorso, i Paesi membri dell’Eurozona, Germania in testa, quando diedero il via all’Unione Europea si fidarono poco delle politiche di bilancio dei Paesi mediterranei, optando per una decisione più drastica e, permettete di dirvelo, meno intelligente.

Faccio questo discorso per dire che i perfezionamenti del QE messi a punto da Draghi – nel rispetto dello Statuto della BCE che, ricordiamolo, prevede come obiettivo principe il raggiungimento di un tasso di inflazione prossimo al 2% – virano drasticamente verso l’economia reale, cominciando sempre più a somigliare ad interventi di politica fiscale; a me pare che la BCE stia implicitamente ammettendo l’impossibilità di influenzare l’economia dell’Eurozona, non si spiegherebbe altrimenti la necessità di ricorrere ad interventi ancor meno convenzionali di quelli scelti per il primo QE.

Insomma, la sensazione è che Draghi sia consapevole del fatto che i mercati finanziario e reale appaiano sempre più slegati, da qui, la necessità di rivolgersi a quest’ultimo in maniera più diretta dato che, con il tentativo precedente, gli effetti erano stati abbastanza deludenti. Certo, il primo QE ha permesso ai Paesi dell’Eurozona di finanziare il proprio debito a tassi molto bassi, superando i notevoli attacchi speculativi subiti, le banche, inoltre, hanno liberato i propri bilanci da titoli di Stato ed altri strumenti finanziari ingombranti, ma l’impatto sull’economia reale non è stato quello che si auspicava, in quanto chi è riuscito ad ottenere finanziamenti ha preferito investire ancora nei mercati finanziari, in ripresa dopo la grande Crisi, anziché nelle imprese. Dunque, nei nuovi provvedimenti di Draghi pare esserci una certa sfiducia da parte del Banchiere Centrale verso la capacità delle banche di adempiere al ruolo principe per il quale sono nate, ossia offrire credito a famiglie ed imprese; certo, i vincoli patrimoniali sempre più stringenti imposti da Basilea hanno influito sulla disponibilità delle banche a prestare denaro a chiunque ne facesse richiesta, ma i nuovi correttivi studiati dovrebbero colpire nel segno dato che per le banche saranno ancor più disincentivante rispetto al passato a detenere il denaro in pancia – come descritto nel punto 1 – e, anzi, per certi versi la BCE finirà persino per pagare gli istituti che riceveranno da essa i prestiti – punto 3. Inoltre, l’apertura all’acquisto dei bond aziendali – punto 4 – ipotesi mai osservata prima, che dovrebbe avere l’intento di sopravanzare le banche se, nonostante gli incentivi, dovessero ancora una volta deludere le aspettative del banchiere. Su questo punto le imprese europee, in particolare modo quelle italiane, dovrebbero far di più, seguendo quella che è la prassi oltreoceano, ossia emettere dei propri bond per finanziari evitando il ricorso alle banche. Infine, Draghi ha riservato anche una spiacevole sorpresa agli speculatori che già brindavano ai nuovi affari che queste misure avrebbero generato, asserendo chiaramente che in futuro non bisognerà attendersi nuovi ribassi del tasso dei depositi in BCE, già portato al suo minimo storico, come detto, -0.40%, ad ennesima riprova di quanto queste misure mirino al mercato reale, non a quello finanziario.

È lecito pensare che se anche questi interventi di politica monetaria, come detto, ancor meno convenzionali rispetto ai precedenti, non dovessero sortire i risultati sperati, il prossimo step non potrebbe che essere il ritorno alla sovranità monetaria, con la sottomissione del banchiere centrale ai Governi, ipotesi chiaramente non prevista dai Trattati, i quali prevedono l’assoluta indipendenza del Banchiere Centrale, ma perseguita più o meno implicitamente in ogni parte del mondo; non scordiamo che stiamo correndo una maratona partendo in netto ritardo e su una gamba sola, Stati Uniti e Giappone, per menzionare i casi più eclatanti, hanno dato il via ai loro quantitative easing molto prima di noi e disponendo di entrambe le gambe, politica fiscale e monetaria.

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